domenica 30 ottobre 2011

Una sorpresa...

Mi piacciono le sorprese. Quelle vere, non come i regali di compleanno o di Natale che, insomma, sorprese non sono. Anzi, magari diventa una sorpresa se nessuno ti fa il regalo. Invece la sorpresa è bella proprio quando non te l'aspetti e ti capita lì... te la trovi davanti e rimani un attimo (che può variare da pochi secondi a una mezza eternità) attonito a grattarti il capo e a fare strane smorfie, quasi non credendo a quello che vedi o che senti o che leggi.
Ho avuto una sorpresa. Molto piacevole. Sono stato contattato dalla redazione di Inbook.tv, nella persona di Lucia, che evidentemente ha qualche virus nel computer che l'ha diretta verso questo blog. E pare che le sia piaciuto. E mi ha chiesto di poterlo condividere sul suo portale. E io ho detto di sì. Cazzo, un po' di vanagloria non fa mica male dopotutto. Quindi, da oggi, ma mi sa, anche da ieri o l'altroieri, le mie parole sono leggibili anche su http://www.inbook.tv/imagazine.php?r=3
Che dire? Niente... ringrazio Lucia e tutta la redazione di Inbook per la fiducia e per l'apprezzamento; la vanagloria resta, ma viene invasa anche da un certo tremolio. Sono all'altezza? Dopotutto non capivo e non capisco se qualcuno potesse leggere quanto scrivo. Qualcuno pare proprio di sì... e, senza nascondermi dietro a un dito, devo dire che mi fa piacere. Allora... benvenuti a tutti i nuovi amici di Inbook e a chi avrà la ventura e la pazienza di cominciare (o continuare) a leggere le righe di questo blog.
Grazie.

giovedì 27 ottobre 2011

Di moderni Montecchi e Capuleti

Menachem ha 32 anni, è un ottimo chèf, adora la musica di Springsteen e il cinema di Woody Allen. E' un ottimo lettore, ama vestirsi con gusto, è vanesio e si depila il petto e, prima di stappare una bottiglia di vino, emette dei sospiri quasi a compiere un atto sacrale. Menachem è nato alla periferia di Tel Aviv e ha girato il mondo facendo il suo mestiere di cuoco, togliendosi anche molte soddisfazioni. Imparando, provando e sperimentando.
Marwa ha 24 anni, è nata in Tunisia e vive con i genitori in Francia. Avrebbe voluto studiare ma la sua famiglia non aveva grandi possibilità; ama la musica di qualche cantante arabo e rap francese di cui non riesco a ricordare i nomi e il cinema di Almodòvar. Ha trovato lavoro come cameriera in un elegante ristorante.
Menachem è  lo chèf di questo ristorante. 
Marwa e Menachem si sono innamorati. Sognano una vita in comune, dei figli, una casetta nel sud della Francia o anche in Italia (su questo li ho caldamente sconsigliati).
C'è bisogno di dire altro? Nè la famiglia di lei, nè quella di lui sono d'accordo. E tanto basta. Non c'è bisogno di dire altro. Hanno deciso di andarsene e anche per loro comincerà una vita da clandestini. Non è quello che vorrebbero, ma è quello che sono costretti a fare (sempre se troveranno la forza di farlo). Io li ho conosciuti, li ho frequentati, ho parlato con loro. Non ho saputo dar loro risposte. Non ce ne sono, se non un'enorme tristezza nel constatare che il tempo passa per niente. Il mondo diventa sempre più piccolo, la globalizzazione ha omologato i lati peggiori e più frivoli, ma le catene del cervello sono rimaste ben salde. Il filo spinato avvolge ancora i giudizi facendoli diventare pregiudizi.
In bocca al lupo Marwa e Menachem e benvenuti in questo mondo assurdo popolato da persone assurde. Vi auguro di non doverlo vivere da clandestini. Il sole vi merita e voi meritate lui.

martedì 25 ottobre 2011

25 Ottobre

Oggi avrei voglia di ascoltare una favola. Una di quelle in cui ci sono cavalieri e draghi, madamigelle e stregoni. Una di quelle favole in cui l'eroe sconfigge il malvagio e salva la damigella in pericolo. Una favola a lieto fine, senza morali nè metafore. Dove ogni parola ha il peso che ha, dove non ci si deve scervellare a comprenderne il significato.
Una favola semplice, di avventura pura, che non ti fa pensare, ma soltanto chiudere gli occhi e volare via verso mondi lontani e sconosciuti.
Vorrei potermi sdraiare su un divano e sentire una voce che racconta. E racconta... Vorrei lasciarmi cullare dalle parole e sorridere al loro suono.
Vorrei spaventarmi nei momenti di paura, farmi coinvolgere dai duelli e innamorarmi all'ingresso in scena della fanciulla. Vorrei provare sensazioni lineari, come una retta che va avanti verso l'infinito.
Vorrei provare a far sciogliere i miei pensieri in questa ovatta, dimenticarmi per un attimo perché sono qui e dimenticare in un attimo la strada che ho alle spalle e, soprattutto, dimenticarmi di quella sconosciuta che devo percorrere e ho davanti.
Vorrei ascoltare una favola e non m'importa nemmeno se a narrarmela dovesse essere una fata o un orco. Andrebbe bene tutto. Il mio regno... per una favola.


58

Non conoscevo Marco Simoncelli, confesso. Purtroppo non sono un appassionato di motociclismo e di motori in genere, per cui, tranne quel Valentino Rossi di cui è impossibile non sapere chi è, non so molto di altri piloti. Purtroppo ho conosciuto Simoncelli nel modo peggiore: con la sua morte.
Ho letto un sacco di quotidiani online, italiani e stranieri e mi ha colpito molto la forte commozione e la partecipazione alla tragica scomparsa di questo pilota. E ho letto attentamente anche le migliaia di commenti sui vari siti. Fra cui ce ne sono stati anche alcuni di "segno contrario". Certo, in questi casi c'è chi alza la voce e si indigna dicendo cose tipo: muoiono persone ogni giorno, bambini, giovani e meno giovani, in tanti muoiono sul lavoro per poche centinaia di euro al mese e di questi nessuno si ricorda. Nessuno si commuove.
Vero, tutto vero e anch'io sarei tentato idealmente di dire una cosa del genere. Ma non ha senso. 
E' normale che la morte di un personaggio famoso, di un campione sportivo, colpisca in questo modo. Sono come gli antichi eroi, che  affascinano e penetrano la fantasia di noi esseri normali. E allora perché non dolersi? Degli eroi ci si immedesima nelle loro vittorie, gioendo con loro. Altresì viene da sè immedesimarsi anche nel momento del loro addio.
E l'addio di Simoncelli è stato tragico, terribile, con quelle immagini impietose che ci hanno mostrato l'attimo esatto in cui è passato dalla vita alla morte. Dal tutto al niente. Dalla luce al buio.
D'altronde, fin da piccoli leggiamo sui libri di storia e studiamo i grandi personaggi del passato. Ci colpisce la morte di Giulio Cesare e di Napoleone; di Caravaggio e di Mozart. E la letteratura? Gli eroi epici: Ettore, Achille... il paladino Orlando. Eppure si parla di guerre, di migliaia di morti. Ma è là dove si punta l'obiettivo che la morte ci colpisce. E fa più rumore la vita di una persona sola, ma che abbiamo sotto gli occhi di quella di molte persone fuori dal campo visivo.
E allora non vedo perché montare delle polemiche. E' vero che la vita di ogni giorno è attraversata dalla morte e la morte esige sempre il rispetto dovuto. Ma questo non toglie che scatti qualcosa dentro quando si vedono dei moderni guerrieri che volano sui loro bolidi rombanti e che il cuore si stringa quando una vita sicuramente fuori dal comune si spegne. 
La vita di un ragazzo di 24 anni. Che diventa morte. E la morte non si commenta, la morte si subisce.
Ciao anche da parte mia, Marco. Spero che da qualche parte i tuoi bei riccioli possano ancora sentire il vento.

lunedì 24 ottobre 2011

Oggi, camminando, ho incrociato una signora. Una signora di... più o meno una sessantina d'anni. Una signora come tante, che sfoggiava con dignità un ciuffo di capelli bianchi che le nascondeva la fronte bassa. Una signora con l'aria quasi da contadina, che sapeva sfoggiare la sua fiera bellezza agreste e un vestito a fiori piuttosto demodé.
Una signora che, incrociandomi, ha sfoggiato un sorriso e un buongiorno. E la sua bellezza è divenuta ancora più raggiante in quel momento, arrivando a scaldare l'alito grigio dell'autunno. Una signora che mi ha stampato sul volto un timbro di serenità che ancora mi tiene compagnia.
Non ci sono video, canzoni, film o frasi famose che possano accompagnare quel sorriso, ma solo quel sorriso, che non posso riprodurre, ma che posso soltanto guardare e riguardare, a occhi aperti o chiusi. Che tengo qui... dentro di me, come qualcosa di raro e di prezioso. Che porto con me, come una valigia da aprire e poterne contemplare il contenuto.
Perché una vita in clandestinità ha bisogno anche di queste cose. La mia... ma credo anche la vostra, che clandestini non siete e camminate con il passo pesante, l'anima in riserva e gli occhi buttati sul selciato.

sabato 22 ottobre 2011

Davanti allo specchio

Cosa c'è davanti allo specchio quando siamo obbligati a specchiarci davvero? Cosa c'è quando tu e lui siete entrambi nudi e costretti a guardarvi a vicenda senza alcun tipo di filtro o di condizionamento? Lo specchio è obbligato a riflettere e tu sei obbligato a guardare. E soprattutto a vedere. Cosa vedi quando ti trovi davanti all'essenza scarna di te stesso? Quando non puoi barare. Quando deve uscire veramente fuori ciò che sei, ma soprattutto ciò che non sei?
Che immagine  ti rimanda indietro quel nemico - perché in quel momento è un nemico - così schietto e duro, tanto da farti trasalire se riesci veramente a guardarci dentro?
Cosa c'è davanti a quello specchio quando non puoi far finta di essere un eroe, un sognatore, un avventuriero; quando non puoi nasconderti dietro i tuoi "sarei" o "potrei essere"? Quando non sei obbligato a fingere un'esistenza che non è la tua? Quando il rimando di quello che hai davanti ti mostra la realtà senza lasciare un briciolo di spazio alla fuga da te stesso?
Quanto ti spaventi quando, per una volta, una volta soltanto, riesci a vedere chi cazzo sei?
E hai il coraggio di sostenere quello sguardo, IL TUO SGUARDO, che ti fissa ammonendoti? Hai il coraggio di dire: quello sono io? Sei sicuro di star vivendo, non dico la tua vita, ma almeno UNA vita? Una qualsiasi?


venerdì 21 ottobre 2011

La condivisione della felicità

Torno ad accendere questa scatola di plastica chiamata computer dopo due giorni di assoluto silenzio con il mondo. Da quel clandestino che ormai sono diventato ho messo un po' di cose in uno zaino e sono partito per un'escursione in montagna. Io e lei. Io e la natura. Io e il silenzio. Io e un sacco a pelo dove passare una notte sotto un albero.
Quale montagna? E che importa? Che importa quale? Che importa dove? Fuori da tutto, dai rumori, dalla gente, dagli scontri di piazza, dalla vita frenetica e pure dalla vita tranquilla che poi tanto tranquilla non è.
Solo con me stesso e i fantasmi di un'esistenza incompleta. Come la vostra. Come quella regolata dal denaro e dagli orari, dagli effimeri rapporti e dalla finta socialità.
Due giorni da solo a camminare, a pensare, a leggere. A dormire al freddo. A piangere.
Non è un delitto saper piangere, che è diverso dal sapersi lamentare. Quella è una perversione di questa vita: lamentarsi. Di tutto, di tutti. Volere il massimo e lagnarsi sempre e in continuazione.
Come poveri bambini viziati, abituati ad avere tutto e ad avere la faccia di culo per non apprezzare niente.
Due giorni soltanto per poi rientrare nel catino del nulla, come ora, che mi trovo ancora una volta qui, a scrivere e a cercare conforto in un "clic" che possa condividere qualche piccolo istante di felicità. Illudendomi anch'io che sia reale solo quando è condivisa.


mercoledì 19 ottobre 2011

C'ERA UNA VOLTA...

C'era una volta la rivoluzione. Passava da Che Guevara a Robespierre, da Trotzkij a Zapata, da Gandhi a Jefferson. Perfino da Gesù Cristo... personaggio vero o inventato che sia.
Gli intrepidi devastatori di Roma (da qualcuno imprudentemente definiti Lanzichenecchi, in ricordo del Sacco di Roma nel 1527) hanno ora un nome, o meglio... un soprannome, di uno degli eroi impegnati nel lancio di sanpietrini e suppellettili varie: Er Pelliccia!
Eccoci qua. Ora abbiamo pure Er Pelliccia. E come vogliamo considerarlo? Rivoluzionario? Delinquente? Esaltato? O quale altra fra le tante definizioni attribuite.
Tralascerò sugli aspetti di cronaca e sulle dichiarazioni del summenzionato, ché tanto sono pubblicate dappertutto e non sta certo a me né riportarle né tantomeno commentarle.
Er Pelliccia.
Ma... io dico. Hai un soprannome del genere e vai a buttare estintori sulla polizia?
Er Pelliccia è qualcosa che riporta ai poliziotteschi degli anni '70, oppure a qualche piccolo spacciatore o ultrà da curva (non saprei dire se nord o sud). Ma soprattutto... cosa cazzo ci facevi là, caro Er Pelliccia? Che ora ti fai prendere per il culo da mezzo mondo? Non lo hai capito che questi black bloc o come cazzo si chiamino hanno ben altra struttura rispetto a te? Che fanno parte di un "disegno" ben più grande di quattro esaltati che si fanno prendere la mano e danno loro una mano per ottenere i loro scopi?
Bravi, bravi tutti. Ora il distinto ministro dell'interno con l'occhiale cerchiato di rosso ha avuto l'assist giusto per stringere il cerchio a chiunque voglia manifestare il suo dissenso.
Perché oggi è il dissenso a essere in pericolo, lo avete capito Er Pelliccia e tutti i fresconi come te? Lo avete capito di aver fatto il gioco di chi non aspettava altro che qualche caprio espiatorio per poter dare un giro di vite a un  movimento che, sicuramente non ci riuscirà, ma sta tentando, comunque di cambiare qualcosa?
Lo avete capito che dietro il vostro voler essere liberi c'erano invece i fili con cui vengono manovrati i burattini?
Andate a leggere qualche libro di storia. Se non ce l'avete, andate almeno a dare un'occhiata su wikipedia chi erano i personaggi che ho citato in apertura. Fatevi un'idea e poi... se proprio volete andare in piazza a spaccare tutto... fatevi cambiare il soprannome. Ce ne sono di più intriganti, parola mia, parola di nipote di un partigiano.

domenica 16 ottobre 2011

15 OTTOBRE...

E' una splendida giornata che sembra di mezza primavera e mi sono alzato presto, oggi, per raggiungere la Capitale di questo meraviglioso e contraddittorio Paese per la manifestazione degli "Indignados". Una volta tanto fuori dalla fogna, fuori dalle paure, senza guardarmi attorno con sospetto. Anzi...
Mi guardo attorno con gioia e una serenità che non provavo da tanto tempo. Qui, in piazza, a volto scoperto, a sentire l'aria calda che mi accarezza il volto. E intorno migliaia, decine di migliaia, di persone. Ragazzi, tanti... giovani... meno giovani, ex ragazzi e ragazze che sanno ancora indignarsi. Canti, cartelli, danze, volti dipinti e slogan scritti sulle braccia, sulle guance. Sono belle le ragazze che sorridono e mostrano la voglia di crescere in un mondo migliore. Sono belli i ragazzi che le abbracciano e questo mondo migliore lo cercano anche in quel contatto. Sento che allora è vero che c'è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere. La giornata di oggi è una di quelle cose. Camminiamo, continuiamo a cantare, a dileggiare chi questo mondo lo ha distrutto. Lo so che da domani tornerò a nascondermi e a mostrarmi il mio volto peggiore. Lo so che da domani tornerò a pensare cinicamente che tutto questo non servirà a niente e, che tra le facce dei ragazzi che ho incrociato c'erano molti che domani saranno dirigenti e complici del mondo che oggi volevano cambiare. Lo so, ma non mi importa. Oggi mi godo la mia giornata di Utopia.


Il corteo si muove come un gigantesco e sinuoso serpente. La polizia si tiene a rispettosa distanza. Li osservo. Alcuni vorrebbero essere lì con noi, alcuni vorrebbero caricarci e riempirci di botte. Un tempo, forse, li avrei quasi esortati a farsi avanti. Sono però molto più belli questi ragazzi, che sorridono loro, quasi a invitarli a lasciar perdere quella divisa e vestirsi di colori nuovi. Più limpidi. Più solari.
Oggi voglio credere che qualcosa forse cambierà. Me lo dice tutta questa gente, me lo dice quest'aria incazzata ma pacifica che si respira. Me lo dice questo canto di libertà che sale alto. Sempre più alto. Me lo dice il sole, che ci sorride e sta manifestando con noi.
Oggi è il 15 ottobre 2011 e sono felice. E' il 15 ottobre 2011 e sono in piazza a manifestare pacificamente insieme a milioni di altre persone che, come me, sanno ancora essere indignados!

E' il 15 ottobre 2011 e questo non è un racconto di fantasia. Sono in piazza a una splendida manifestazione PACIFICA: sì, sono alla manifestazione di Madrid.



Sì, mi trovo a Madrid. Don Chisciotte mi guarda con la sua aria magniloquenta. Anche lui sfila insieme a noi. Sì, mi trovo a Madrid e so cosa sta succedendo a Roma. Sì, mi trovo a Madrid e poco fa ho ricevuto un sms da Manuela, una ragazza clandestina come me, che ho conosciuto l'anno scorso in Danimarca.
Ciao kap! Sn a Bruxelles bellissimo siamo belli siamo tanti siamo tosti! Kiss
Madrid, Bruxelles, Parigi, Tokio, New York, Lisbona, Londra... e ancora tante e tante capitali. 
E Roma...
Roma, Italia.
Roma, Italia, Black Block.
Ancora.
Dieci anni dopo i fatti di Genova e quei tragici giorni del G8, quando la democrazia andò a farsi fottere per lasciare spazio a uno stato di polizia.
E ora rieccoli. Mi chiedo come facciano ad apparire e scomparire così in fretta. Nessuno li vede prima, nessuno li vede dopo. Mi chiedo come facciano a mettere a ferro e fuoco un paese intero. Non una città, ma un paese intero. Tutta l'Italia. 
Lo sappiamo chi c'è dietro, non continuate a prenderci in giro. Le voci si moltiplicano qui, nel corteo spagnolo. Ci sono due ragazzi  olandesi qui vicino a me che seguono le notizie sull' I-phone. Uno di loro commenta: "in italia i fascisti mandati dal governo stanno  distruggendo Roma". 
Io li guardo e sto zitto. Non so e non posso conoscere quale sia la verità, ma l'unica cosa evidente è che la nostra immagine è questa. E ancora una volta mi vergogno di essere italiano.
Ma vado avanti, il corteo ha ancora strada da fare. Domani tornerò nella mia fogna. Oggi sto a testa alta.


sabato 15 ottobre 2011

(R)EVOLUTION

Sei nato nell'acqua e approdato pian piano alla terra. Strisciando e saltando sei finito sugli alberi, aggrappandoti ai rami e alle liane hai spiccato balzi sempre più lunghi, fino a quando hai deciso di scendere dall'albero. Hai conquistato la posizione eretta, ti sei disfatto della pelliccia, hai imparato a nutrirti di carne e di morte, hai scoperto il fuoco e lo hai usato per scaldarti e per vivere. Hai camminato per lunghi sentieri, hai lasciato tracce di te, hai imparato il valore della comunità, ti sei riunito in clan, che via via diventavano sempre più grandi. Hai capito l'importanza del rapporto con i tuoi simili. Li hai uccisi per conquistarne le terre e le ricchezze. Ci hai commerciato per lo stesso motivo. Ti sei creato dei a tua immagine e somiglianza per sconfiggere la paura della morte. Hai inventato il tempo e attraversato i secoli modificandoti nell'aspetto, nei modi, nella cultura, nella religione, nell'appartenenza... 
Hai creato opere meravigliose e immani tragedie; hai cercato la felicità tramite la bellezza e l'hai trovata tramite l'infelicità altrui. Hai riso, pianto, amato, tradito, cercato, condannato, perdonato, sudato, costruito, distrutto, conquistato, parlato, ascoltato, viaggiato.
Hai sublimato la natura e i sentimenti con l'arte, con le parole, con le immagini, con la musica...
Hai ucciso e ti sei fatto uccidere.
Hai creato il potere, l'hai combattuto e ti sei rifugiato in esso.
E sei ancora qua, a barcamenarti in un'esistenza non ancora completata; a osservare il cielo, a cercare di capire le stelle e il vento, la pioggia ed il mare.
Ora però... incazzati!


giovedì 13 ottobre 2011

Allez minette



Et voilà... dall'allons enfants de la patrie all'allez minette (per chi non mastica il francese, più o meno significa "forza gnocca") con cui il simpatico presidente del consiglio tiene alto l'onore fallico degli italiani. Dire che ci prendono per il culo in tutto il mondo è un'ovvietà fin troppo evidente; chi ha ancora il coraggio di uscire dai confini del "belpaese" non ha altra possibilità che specializzarsi nello sport di arrampicarsi sugli specchi, ogni qual volta che il primo ministro dà sfoggio delle sue doti di grande statista (come con estrema modestia ama definirsi). Chi, come me, all'estero ci vive da anni, ha ormai fatto il callo a battute e sfottò vari. E il dramma è che non si sa più come e cosa rispondere. Esaurite le risposte scontate e le esortazioni di guardare in casa propria (credendoci sempre di meno) non rimane che una sommessa rassegnazione.
Ma verrebbe voglia di urlarlo: IO NON SONO BERLUSCONI! GLI ITALIANI NON SONO COSI'! Sì... ma chi lo ha votato?, ti viene chiesto. E allora rimani in silenzio, stai zitto, non hai più niente da opporre. Ed è vero che ognuno ha il suo scheletro nell'armadio, ma quando guardi nel tuo e lo vedi pieno di quel materiale organico che di solito viene smaltito nelle fogne, ma in casa tua invece viene spacciato come profumo inebriante, allora non sai veramente più cosa dire. E ti incazzi. Ti incazzi contro te stesso e contro tutti quei coglioni (te compreso, anche se non lo hai mai votato) che hanno permesso a un personaggio di questo genere di imprigionare un paese intero e di farti vergognare di essere italiano (sperando almeno di non essere l'unico). E non ti consola pensare che tanto un domani non ci sarà più. Perchè questo domani, fosse anche domani... sarà troppo tardi!

martedì 11 ottobre 2011

CARO VASCO...

Caro Vasco,
mai come oggi ho desiderato di essere un tuo amico. Uno di quelli con cui bevi una birra, fai una grigliata, ridi, scherzi, litighi, guardi un film o una partita. Una persona "di casa" insomma. Vorrei essere questo per poterti parlare senza nessun tipo di filtro, come si parlano gli amici veri, di questa vicenda "Nonciclopedia" che che sta monopolizzando molte conversazioni sui social network e sui forum.

Invece non sono tuo amico, purtroppo e rimango uno dei tanti che ti segue da sempre e che ha ascoltato millanta volte le tue canzoni. Quindi con una sorta di sudditanza che c'è sempre fra artista e ascoltatore. Comunque proverò a scriverti una lettera come fossi davvero un tuo vecchio amico. Una lettera che non leggerai mai e, se anche lo facessi, probabilmente non ti importerebbe del suo contenuto, ma sento di volerlo fare lo stesso.

Caro Vasco, dicevo... seguo ormai da qualche giorno l'evolversi (o involversi, forse) di questa querelle nata con l'autosospensione di Nonciclopedia a seguito dell'annuncio dato dai tuoi legali di una querela, a causa di frasi diffamanti scritte su di te. Premetto dicendo che credo che la libertà di ognuno sia anche quella di incazzarsi se altri (soprattutto se sconosciuti) scrivono cose di noi che non piacciono. Così come hai fatto tu. Non penso però che tu abbia bisogno di un'azione del genere anche se rispetto le tue decisioni.

Nei giorni successivi mi è parso che la situazione si fosse un po' tranquillizzata. Fra l'altro ho letto diverse cose su Nonciclopedia e alcune mi hanno anche fatto ridere, apprezzando spesso anche l'irriverenza con cui vengono trattati certi temi da quei tipi. Diciamo che li ho trovati innocui. Poi ieri, incuriosito, sono andato a vedere le pagine che tu hai nominato (una tra queste, quella di Anna Frank, per esempio). Ecco... lì hai ragione in pieno. Quella non è satira e non so nemmeno trovare un termine per definirla, se non pensare che si tratti di qualcosa di disgustoso (per usare un eufemismo). Ma tu, caro Vasco, non li avevi certo querelati (o annunciato querela) per quelle pagine. Tu l'avevi fatto esclusivamente per la tua, che, a quanto mi risulta sia stata tolta. Ed andare ora a rimestare la cosa per far vedere a tutti che avevi ragione mi pare pleonastico.

Certo, ti sono arrivati insulti da un sacco di gente... quello non è certo piacevole. Ma che vuoi... sei un personaggio pubblico amato da milioni di fans ed è normale che tu sia odiato da qualche migliaia di persone. Questo non vuol dire che una persona come te debba star lì ad accettare gli insulti di chicchessia, figuriamoci, ma nemmeno che tu ti erga a capopopolo dei fans accaniti che invece ti sostengono senza il minimo dubbio. Così facendo ti metti nella condizione di pilotare il pensiero di chi un pensiero non ce l'ha. Perché ho letto i commenti... e se trovo imbecilli quelli che ti offendono, trovo altrettanto imbecilli alcuni di quelli che dimostrano il classico realismo più del re.

Ho letto anche dei commenti molto pacati, definirei quasi illuminati... si sente che certa gente ti segue da tempo. Commenti in cui pervade anche il dubbio. Commenti scritti in italiano corretto. Al contrario delle sgrammaticature di alcuni (badiamo bene, alcuni) dei tuoi fans. E credo che un fan, tuo o di altri cantanti, dovrebbe essere proprio così. Avere anche dei dubbi. E poterteli comunicare. Senza che ci sia il "muro" di quegli irriducibili che mi fanno pensare a quegli arroganti-ignoranti che tu giustamente citi.
Caro Vasco, se leggessi queste righe diresti probabilmente che anch'io non valgo un cazzo perché sto a nascondermi dietro un nome che non è il mio. E forse avresti ragione, non lo nego. Ma non nasconderti nemmeno tu dietro il fatto di essere una rockstar con un pubblico che ti adora e che non mette e non metterà mai in dubbio quello che dici. Non affermare che sono questi coloro che capiscono. C'è anche tanta altra gente che capisce, che non ti insulta, ma si permette di non essere sempre d'accordo con quanto dici.
Con la stima e la passione di sempre...




domenica 9 ottobre 2011

9 Ottobre

Il 9 ottobre è nato John Lennon e Paul Mc Cartney si sposa; sono morti Jacques Brel ed Ernesto "Che" Guevara e, a pensarci bene, saranno nate e morte un altro sacco di persone, così come in ognuno dei 365 (naturalmente 366 negli anni bisestili) giorni stampati sul calendario. E il 9 ottobre di questo 2011 si dà il via al carrozzone del Censimento.
E' proprio vero che ti accorgi dell'importanza di qualcosa quando ti manca. E oggi sento che mi manca anche questo. Il censimento...  pensare che l'ho sempre considerato stupido, chissà che risposte idiote avrò inventato dieci anni fa. Eppure oggi mi manca. Eppure oggi che sono lontano da quello sciagurato paese che si chiama Italia, il sapere che non potrò censirmi come tutti gli altri mi mette malinconia. Oggi mi sento più che mai esiliato, clandestino. E mi sento anche stupido ma non so e non riesco a farci niente. E' uno di quei giorni in cui avresti voglia di urlare, di piangere, di rompere qualche oggetto o qualche faccia. Di correre fino allo sfinimento, di fermarsi e lasciarsi cadere sull'erba bagnata dall'inizio dell'inverno. Di non esserci! Di essere quello che i tuoi genitori volevano che fossi. Di rimpiangere la vita intera, il suo passato e il suo presente. Di non voler nemmeno sapere se esiste il futuro. Di sentire profumi scomparsi nella memoria. Di smettere di dire cazzate!
E forse mi consola affidare qualche riga alla magia del web, ma non cambia la sostanza: mi girano pesantemente i coglioni!


sabato 8 ottobre 2011

Nessuno e centomila



“Io non giudico!”
“Io volo perché so volare!”
“Odio l'ipocrisia!”
“Sono un sognatore (una sognatrice)”
“Mi sento sempre bambino\a”
“Io trasgredisco, sono folle!”

E amenità varie...

Mi tocca leggere\sentire\ascoltare praticamente ogni giorno delle puttanate del genere. Alzi la mano chi non ha mai detto almeno 5 delle 6 frasi che ho riportato là sopra. Eh sì... perché il mondo è pieno di gente che non giudica, che odia l'ipocrisia, che sogna, che vola, che si sente un eterno bambino\a, che pensa di trasgredire o pensa di essere un folle...
Sì, ma... allora mi chiedo io: dov'è il contraltare? Se tutti odiano l'ipocrisia (e tutti la odiano) allora vuol dire che l'ipocrisia non esiste. Chi è ipocrita se tutti (e dico: TUTTI) odiano l'ipocrisia? Se nessuno giudica (perché nessuno giudica, a quanto sento io) allora... perché tutti odiano le persone che giudicano?
Qui c'è qualcosa che non va, cari terrestri; il piccolo cervello di un Clandestino non ci arriva, non riesce a comprendere. O forse è tutto normale così, dopotutto ho sentito dire più volte una cosa tipo: “ma perché vuoi farmi notare le mie contraddizioni?” Già! E perché farlo? Molto meglio passarci sopra e credere di essere quello che non siamo, no?
Trasgressivi...
Pazzi...
Capaci di volare...
Alzo gli occhi sulla città ma non vedo gabbiani a due gambe, vedo piuttosto formiche chiuse nelle loro automobili. Vedo orchi urlanti attaccati al telefonino, maledicenti la coda che li farà arrivare in ritardo all'appuntamento o qualsiasi cosa sia. Non vedo molta trasgressione in questa vita inquadrata da un'omologazione pazzesca. Che lascia ben poco al sogno. Il sogno... se sognare vuol dire adattarsi a una vita precostituita, io lo chiamerei piuttosto: incubo! Fa paura vero? D'altronde le parole sono importanti e allora molto meglio far finta di credere di sognare, invece di rendersi conto di vivere un incubo. Perché sognare non costa nulla, ma cercare di realizzarlo, il sogno... quello sì, quello costa. E allora, visto che tanto la vita è tutto un darselo a intendere, fa più comodo far finta di sognare.
Far finta, sì. Alla fine è solo quello, anche se nessuno se ne rende conto.
Bisognerebbe essere clandestini e sapere di esserlo. Come me. Che al sogno non credo più, che non ho le ali, che giudico, che sono ipocrita, che non sono trasgressivo per un cazzo. Ok... abbiamo trovato la soluzione al problema. Il “tana libera tutti”. Ci penso io ad assumermi tutto il contraltare dei vostri pensieri. Faccio il capro espiatorio di questa vita fatta di luoghi comuni. Perché, in fondo, io sono molto più presuntuoso di voi. Perché io l'ho capito che non siete un cazzo di quello che credete e volete far credere di essere. E mi sta bene. Sono l'altra faccia della medaglia.
Ipocrita!
Sì... voglio sentirmelo dire, urlare. Servirà a qualcuno per sentirsi così “speciale” e continuare a scambiare per sogni i propri incubi.


giovedì 6 ottobre 2011

Siate affamati, siate folli

"...Nessuno vuole morire. Neanche chi vuole andare in paradiso vuole morire per arrivarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo. Nessuno vi è mai sfuggito. E così dovrebbe essere perchè la Morte è probabilmente l'unica, migliore invenzione della Vita. E' l'agente di cambiamento della Vita. Elimina il vecchio per far spazio al nuovo. Proprio adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo distante da oggi, diventerete gradualmente il vecchio che deve essere eliminato. Mi dispiace essere così drammatico, ma questa è la verità. Il vostro tempo è limitato, quindi non sprecatelo vivendo la vita di qualcun altro. Non lasciatevi intrappolare dai dogmi - che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altri. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui lasci affogare la vostra voce interiore. E, cosa più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore ed il vostro intuito. Loro sanno già quello che voi volete veramente diventare. Tutto il resto è secondario."

Steve Jobs ci ha lasciati. Viva Steve Jobs.
Imprenditore? Guru? Illuminato? Non lo so, sinceramente non ne ho né un'opinione né, soprattutto, una conoscenza tale da potermi ritagliare un'opinione. Ho letto e riletto quel suo famoso discorso da cui ho tratto il testo in apertura. Testo che oggi viene citato e ricitato da migliaia, milioni forse, di persone in tutto il mondo: Non lasciatevi intrappolare dai dogmi - che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altri. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui lasci affogare la vostra voce interiore.
E, citandolo, non vi rendete conto che fate l'esatto contrario di quello che lui intendeva: vivete seguendo i risultati del pensiero altrui.
Volete ricordare Steve Jobs? Non fatelo diventare una frase da maglietta, grazie.

mercoledì 5 ottobre 2011

UNA RAGAZZA CHIAMATA PARTY

Ciao, tu non mi conosci, ma io sì. Sapessi quante volte abbiamo incrociato lo sguardo, anche se il tuo mi attraversava con la noncuranza con cui un raggio di sole entra attraverso una finestra spalancata. E ti ho sempre osservata in silenzio, come solo chi sa guardare una persona, riesce a fare.
Ti ho visto camminare per strada e ostentare inconsapevolmente il tuo passo di ballerina. Sei stata seduta accanto a me su una metropolitana di Londra o su una spiaggia di fronte all'oceano. Ti osservavo mentre sceglievi un vestito colorato come la speranza e quando riponevi su uno scaffale del supermercato una lattina caduta e lasciata a terra. Ho sentito l'armonia del tuo ridere e il rumore provocato da una lacrima troppo pesante caduta su un foglio di carta. Ho aspettato per ore, sotto il sole e sotto la pioggia che tu aprissi un portone marrone e, prima di scendere in strada, tu alzassi gli occhi al cielo per vedere "che tempo che fa". Ho ascoltato la tua voce in un assolo di chitarra, immaginando le tue labbra socchiuse a sussurrare parole colorate di arcobaleno.
C'eri tu e c'ero io, sempre, nei mille posti dove sono stato e nei centomila che ho soltanto immaginato. Sono fuggito da te correndo forte come una gazzella, ma è bastato fermarmi un attimo a riprendere fiato, voltarmi e vederti ancora là; a stringere una mano, ad aspettare l'autobus, a leggere un libro.
A ballare.
Non ho mai saputo il tuo nome, ragazza chiamata party. Non so se lo voglio sapere, so solo che vali molto più di una festa.
E ti vedo ancora, che passi sotto la mia finestra. C'è un disco che gira e una musica che esce fuori. Chissà che tu non sollevi lo sguardo e ti incuriosisca questa musica che è tua, perché sei tu. Chissà che fra poco non senta bussare alla porta. Ma non so se aprirei, non vorrei che il disco finisse proprio in quel momento. A far svanire l'incanto.

martedì 4 ottobre 2011

Con...dannato

Siamo tutti figli di qualcuno, di qualcosa, di esperienze (che non servono a un cazzo, di solito, solo a sbagliare ancora, ma questo è un altro discorso) di parole lette e sentite, di frasi di canzoni, di scene di film, di momenti vissuti oppure solo sognati o immaginati. Di suggestioni, di speranze, di muri, di bugie, di possibilità. Siamo figli e prigionieri di quello che non siamo e non saremo mai.
Quando ero più giovane ascoltavo un programma alla radio. Si chiamava “Alcatraz”. Jack Folla, il grande fratellone Jack, un dj nel braccio della morte, che dispensava deliri e musica dalla sua cella di isolamento nel celebre carcere americano. La storia di un condannato a morte che condivideva nell'etere il suo “sentire”. Il suo essere, le sue consapevolezze, le sue paure, la sua arroganza, la sua umiltà, i suoi sogni e il loro infrangersi.
Mi immedesimavo in Jack. Lo ascoltavo avidamente, come si ascolta un padre, sognando di essere un giorno anch'io come lui (bel cretino eh? Invece di sognare di diventare calciatore e sposare una velina, sognavo di diventare un condannato a morte).
A volte i sogni si avverano e oggi un po' come lui lo sono. Condannato a morte. Condannato a morte dalla vita e dagli esseri umani. Condannato a un'esistenza in cattività, come una belva feroce.
È sempre stato il mio dramma e il mio vantaggio, quello dell'immedesimarmi. Quando ero ragazzo e ascoltavo “la locomotiva” di Guccini da mattino a sera, sognavo di diventare ferroviere, per esempio. Forse sarebbe stato meglio, visto che oggi mi trovo a essere un clandestino in giro per il mondo per sfuggire a una condanna, che, però, pensandoci bene, parte proprio da me stesso. Ma perché condannato a morte? Forse perché... ho visto cose che il replicante di BladeRunner non potrebbe nemmeno immaginare. Con buona pace di Ridley Scott e di un film di cui, tutto sommato, avrei anche fatto a meno.
Alla prossima...

sabato 1 ottobre 2011

Bisogna...

Bisogna. Che parola orribile. Tanto più quando è pronunciata da un politico. Siete sempre voi, cari "rappresentanti dei cittadini" (le virgolette sono d'obbligo) a usare e abusare di questo termine, banalizzandolo fino all'estremo.
"Bisogna fare..."
"Bisogna che..."
"Bisogna cancellare..."
Bisogna, bisogna, bisogna... ma bisogna cosa?
Come si può sentire un ministro che apre i suoi discorsi con "Bisogna fare..."? Se bisogna fare vuol dire che non si è fatto e allora che ci state a fare là?
A ripetere sempre la stessa litania e sempre quell'unica, orrenda parola.
Bisogna!
Sono anni che leggo e che sento che... bisogna. E poi? Poi niente, fino alla successiva apparizione televisiva in cui si apre il discorso con "Bisogna che..."
Basta!
Non crediamoci più ai "bisogna". Io non ci credo più da tempo e da tempo quella parola se ne sta lì, in gola, come una lisca che si muove e punge, che fa male e ne fa sempre di più ogni volta che una di quelle facce scordate e stonate si presenta con questo incipit di niente: Bisogna!
Cari miei... bisogna che vi togliete dalle palle! L'unica cosa che bisogna è questa!