...Scordando che poi infine tutti avremo, due metri di terreno...
Rubo le parole a Francesco Guccini, tanto per rompere l'eterno ghiaccio del foglio bianco.
Due metri di terreno, appunto (oppure mezzo metro di urna, a seconda delle preferenze) nei quali verremo gettati con qualche riguardo e qualche lacrima.
E amen.
Lì finisce la partita e rimangono i ricordi delle persone vicine. Che poi moriranno.
E così via.
C'è poi l'immortalità e il desiderio di essa.
L'immortalità è nel ricordo e riguarda poche persone, il desiderio di essa è nell'ambizione e riguarda un sacco di illusi.
La tecnologia, poi, oggi favorisce questo desiderio di immortalità.
Tv e internet ne sono amplificatori naturali.
Non più Picasso o Mozart o Shakespeare, oggi l'immortalità (o meglio, il suo desiderio, che è ben altra cosa) riguarda chiunque non abbia troppa artrite alle dita per digitare su una tastiera di pc, o chi non abbia troppo pelo sullo stomaco per partecipare a insulsi programmi televisivi. O quant'altro ancora riguardi qualsiasi altra sfera dell'esistenza: immortalità nel lavoro, nella politica, nell'economia. Sentirsi importanti, sentir parlare di sè. Questo conta nell'ego umano e fa pensare di essere immortali.
Ma non lo siete e non lo sarete.
Nè lo sono io, che scrivo poche righe, da clandestino, chiuso come sempre in questa fogna a osservare i comportamenti umani che somigliano tanto al mio. Con la sola, piccola differenza che, almeno ogni tanto, un'occhiata allo specchio riesco ancora a darla.
E a vedere.
Che è diverso da guardare.
Allora penso che non è all'immortalità che ambisco, bensì alla mortalità. Mortalità che è qualcosa di tanto normale, e per questo, tanto straordinaria.
Un po' come il percorso che facciamo per arrivarci.
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