Io non esisto.
Io non parlo, non cammino, non mangio, non bevo, non respiro, non amo, non sento, non rido, non piango... non faccio un sacco di altre cose, utili o inutili.
Però osservo...
E da oggi, scrivo.
Non ricordo come mi chiamo, non conosco la taglia dei miei vestiti, non so dove vivo, in cosa credo e in cosa non credo. Sono il riassunto di migliaia di vite, vissute, bruciate, buttate via come giocattoli vecchi che non servono più a un cazzo di niente. E come quei giocattoli diventare preziose, andare a ricercarle, a ripensarle a volerle rivivere, con quel misto di nostalgia e terrore che ti assale ripensando al passato, ai capelli più neri, al fisico più snello, alle donne conquistate, alle serate piene di vino e spinelli, a tutto quell'armadio di ricordi inutili che vorresti bruciare e seppellire per sempre, ma che torna a fare capolino, quasi a voler farti credere di essere vivo.
Vivo. Che parola del cazzo. Come se vivere ed essere vivi fossero la stessa cosa.
Io non sono vivo, sono clandestino. Da sempre. Un clandestino della vita, per sfuggire alla merda che mi circonda e per tuffarmi in merda nuova. Sono un clandestino, un fuggitivo, un reietto; mi infilo nelle fogne e nei cessi come un topaccio peloso e lì resto per un po', mi guardo attorno, osservo e poi scappo via. E da oggi scrivo! Non perché pensi di avere qualcosa di interessante da dire o che interessante sia la mia vita, per carità. Scrivo perché non ho più voglia di tenere tutto per me, scrivo perché mi sono rotto il cazzo di condividere il mio umore con il mio riflesso, scrivo perché magari non mi leggerà nessuno, oppure perché la mia vanagloria mi fa pensare che affidare questa sorta di diario alla magia del web porterà qualche persona sparsa in angoli lontani dai miei a leggere le stronzate che scrivo e quindi l'idea di far perdere anche qualche minuto del suo “prezioso” tempo a chicchessia stimola il mio ego malato. Ma poi, alla fine, il perché scrivo sono cazzi miei e forse non lo so nemmeno io. Forse scrivo perché non ho altro da fare, se non continuare a fuggire da un posto all'altro, a mostrarmi e poi nascondermi di nuovo, a ficcare la testa dentro al cesso per non farmi riconoscere, a cambiare forma e aspetto come Proteo.
Io non sono vivo, sono clandestino. Da sempre. Un clandestino della vita, per sfuggire alla merda che mi circonda e per tuffarmi in merda nuova. Sono un clandestino, un fuggitivo, un reietto; mi infilo nelle fogne e nei cessi come un topaccio peloso e lì resto per un po', mi guardo attorno, osservo e poi scappo via. E da oggi scrivo! Non perché pensi di avere qualcosa di interessante da dire o che interessante sia la mia vita, per carità. Scrivo perché non ho più voglia di tenere tutto per me, scrivo perché mi sono rotto il cazzo di condividere il mio umore con il mio riflesso, scrivo perché magari non mi leggerà nessuno, oppure perché la mia vanagloria mi fa pensare che affidare questa sorta di diario alla magia del web porterà qualche persona sparsa in angoli lontani dai miei a leggere le stronzate che scrivo e quindi l'idea di far perdere anche qualche minuto del suo “prezioso” tempo a chicchessia stimola il mio ego malato. Ma poi, alla fine, il perché scrivo sono cazzi miei e forse non lo so nemmeno io. Forse scrivo perché non ho altro da fare, se non continuare a fuggire da un posto all'altro, a mostrarmi e poi nascondermi di nuovo, a ficcare la testa dentro al cesso per non farmi riconoscere, a cambiare forma e aspetto come Proteo.
Scrivo perché non esisto.
Scrivo perché sono un Clandestino.
Scrivo perché ho voglia di farmi un po' i cazzi vostri attraverso i miei.
Come una cattiva coscienza.
Come una malattia.
Come un giudice con il cuore troppo vicino al buco del culo.