martedì 4 ottobre 2011

Con...dannato

Siamo tutti figli di qualcuno, di qualcosa, di esperienze (che non servono a un cazzo, di solito, solo a sbagliare ancora, ma questo è un altro discorso) di parole lette e sentite, di frasi di canzoni, di scene di film, di momenti vissuti oppure solo sognati o immaginati. Di suggestioni, di speranze, di muri, di bugie, di possibilità. Siamo figli e prigionieri di quello che non siamo e non saremo mai.
Quando ero più giovane ascoltavo un programma alla radio. Si chiamava “Alcatraz”. Jack Folla, il grande fratellone Jack, un dj nel braccio della morte, che dispensava deliri e musica dalla sua cella di isolamento nel celebre carcere americano. La storia di un condannato a morte che condivideva nell'etere il suo “sentire”. Il suo essere, le sue consapevolezze, le sue paure, la sua arroganza, la sua umiltà, i suoi sogni e il loro infrangersi.
Mi immedesimavo in Jack. Lo ascoltavo avidamente, come si ascolta un padre, sognando di essere un giorno anch'io come lui (bel cretino eh? Invece di sognare di diventare calciatore e sposare una velina, sognavo di diventare un condannato a morte).
A volte i sogni si avverano e oggi un po' come lui lo sono. Condannato a morte. Condannato a morte dalla vita e dagli esseri umani. Condannato a un'esistenza in cattività, come una belva feroce.
È sempre stato il mio dramma e il mio vantaggio, quello dell'immedesimarmi. Quando ero ragazzo e ascoltavo “la locomotiva” di Guccini da mattino a sera, sognavo di diventare ferroviere, per esempio. Forse sarebbe stato meglio, visto che oggi mi trovo a essere un clandestino in giro per il mondo per sfuggire a una condanna, che, però, pensandoci bene, parte proprio da me stesso. Ma perché condannato a morte? Forse perché... ho visto cose che il replicante di BladeRunner non potrebbe nemmeno immaginare. Con buona pace di Ridley Scott e di un film di cui, tutto sommato, avrei anche fatto a meno.
Alla prossima...

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