mercoledì 5 ottobre 2011

UNA RAGAZZA CHIAMATA PARTY

Ciao, tu non mi conosci, ma io sì. Sapessi quante volte abbiamo incrociato lo sguardo, anche se il tuo mi attraversava con la noncuranza con cui un raggio di sole entra attraverso una finestra spalancata. E ti ho sempre osservata in silenzio, come solo chi sa guardare una persona, riesce a fare.
Ti ho visto camminare per strada e ostentare inconsapevolmente il tuo passo di ballerina. Sei stata seduta accanto a me su una metropolitana di Londra o su una spiaggia di fronte all'oceano. Ti osservavo mentre sceglievi un vestito colorato come la speranza e quando riponevi su uno scaffale del supermercato una lattina caduta e lasciata a terra. Ho sentito l'armonia del tuo ridere e il rumore provocato da una lacrima troppo pesante caduta su un foglio di carta. Ho aspettato per ore, sotto il sole e sotto la pioggia che tu aprissi un portone marrone e, prima di scendere in strada, tu alzassi gli occhi al cielo per vedere "che tempo che fa". Ho ascoltato la tua voce in un assolo di chitarra, immaginando le tue labbra socchiuse a sussurrare parole colorate di arcobaleno.
C'eri tu e c'ero io, sempre, nei mille posti dove sono stato e nei centomila che ho soltanto immaginato. Sono fuggito da te correndo forte come una gazzella, ma è bastato fermarmi un attimo a riprendere fiato, voltarmi e vederti ancora là; a stringere una mano, ad aspettare l'autobus, a leggere un libro.
A ballare.
Non ho mai saputo il tuo nome, ragazza chiamata party. Non so se lo voglio sapere, so solo che vali molto più di una festa.
E ti vedo ancora, che passi sotto la mia finestra. C'è un disco che gira e una musica che esce fuori. Chissà che tu non sollevi lo sguardo e ti incuriosisca questa musica che è tua, perché sei tu. Chissà che fra poco non senta bussare alla porta. Ma non so se aprirei, non vorrei che il disco finisse proprio in quel momento. A far svanire l'incanto.

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