giovedì 24 novembre 2011

IL FORNARETTO DI LONDRA

Oggi vado di amarcord, con le parole di un grande giornalista sportivo: Claudio Ferretti e il suo resoconto di una grande sconfitta che divenne una grande vittoria. L'epica maratona di Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra del 1908, quello che è, ancora oggi, uno degli episodi più famosi di tutta la storia delle Olimpiadi. Storie di altri tempi, di altri uomini, di altro sport, perfino. E storia di vita, perché a volte non è così obbligatorio arrivare primi.
Ma non c'è bisogno di spiegare molto, se non affidarsi alle parole scritte, tanti anni fa da Claudio Ferretti.

Eccolo! E' il numero diciannove. Ha i baffi, uno zucchetto da sacerdote, un paio di mutandoni neri che gli arrivano ai ginocchi e una maglietta bianca. E' piccolo e caracolla sgraziatamente per la pista come se non sapesse dove andare, come un uccello spaurito che ha perso lo stormo. Sugli spalti ottantamila persone sono scattate in piedi, simultaneamente, per rendergli omaggio. Solo una signora dall'abbondante cappellino è rimasta seduta, in tribuna d'onore, insieme al suo piccolo seguito; sorride chinandosi per dire qualcosa al suo vicino di destra.
-Chi è?
-Un italiano. Pare che di mestiere faccia il fornaio. Pietri si chiama: Dorando Pietri.
Il nome scivola fino all'ultimo posto dei "popolari" sull'onda di un applauso che sfuma quasi subito.
-Ma che fa? Sbaglia strada.
-No, guardate... gli hanno indicato la direzione giusta.

Effettivamente non si è trattato di un ingresso trionfale. La coreografia ne sarebbe stata degna: un pubblico numeroso ed entusiasta, un boato, un applauso fragoroso. Ma, appena entrato nello stadio, Pietri si è comportato come un attore al debutto, riluttante ad andare in scena. S'è guardato attorno, gli occhi imbambolati, e poi ha imboccato la pista dalla parte sbagliata. Qualcuno gli ha segnalato l'errore e lui, o sguardo sempre assente, servizievole e meccanico come chi recita una parte non sua, è tornato sui suoi passi: dopo 42 km di corsa c'era proprio bisogno di quel po' di strada in più...
Intanto, messa da parte per un attimo l'ammirazione per il piccolo italiano, la gente si chiede che fine ha fatto il suo Duncan, il miglior fondista d'Inghilterra. Allo stadio sono venuti quasi tutti per veder vincere lui, il grande favorito: non sanno che si è ritirato, insiem con il canadese Longboat e lo statunitense Morissey, il vincitore della maratona di Boston. La corsa ha visto saltare uno a uno tutti i più forti per lasciare spazio agli outsiders.
Sono le due e mezzo di pomeriggio quando la principessa del Galles dà il via a quella che diventerà la gara più leggendaria della storia delle Olimpiadi. Cinquantacinque concorrenti partono a spron batttuto per un percorso che gli inglesi chiamano "via di velluto". Ne arriveranno solo ventotto.
C'è un sole straordinario per Londra e per gli atleti è un vero supplizio. Pietri non è il solo italiano in gara: con lui c'è anche il romano Blasi, che però si ritirerà quasi subito. Pietri invece comincia la sua rimonta al trentesimo chilometro, quando aggancia i battistrada Lord e Price, li supera ed è secondo all'inseguimento di Hefferon. Da dietro lo raggiunge il canadese Longboat, ma la sua alimentazione lascia alquanto a desiderare: per darsi la carica, infatti, il canadese fa ricorso a una bottiglia di champagne che si porta sempre appresso. L'effetto è immediato: ubriaco di fatica e di alcool Longboat si ferma a dar di stomaco in un prato e poi preferisce chiedere un passaggio a una vettura dell'organizzazione.
Gli accompagnatori di Pietri, intanto, hanno il loro daffare per liberare il fornaio dalle asfissianti attenzioni di un'automobile americana che lo sommerge in un mare di polvere. A 6 km dal traguardo, l'italiano ha quasi raggiunto Hefferon, che ormai lo precede solo di duecento metri. Ancora uno sforzo: due km di inseguimento ed è raggiunto. Per quasi tremila metri i due restano assieme, poi Hefferon crolla e Pietri se ne va: manca solo un miglio allo stadio. Alle spalle del tandem di testa, intanto, è segnalato un americano di 19 anni di nome Johnny Hayes. E' vicinissimo, ormai; prima che Longboat si ritirasse Hayes aveva un distacco da Pietri di più di 2 km, ora è a poche centinaia di metri.
Quando Pietri entra nello stadio il suo sguardo è appannato, il cuore gli scoppia, forse non ode nemmeno il boato che lo accoglie. Passa una prima volta la linea del traguardo e crede di essere arrivato: rallenta, si ferma quasi, ma gli fanno cenno di continaure. E Pietri continua, automaticamente, come un pupazzetto la cui molla è agli ultimi singulti. Un urlo, quanto diverso da quello che lo aveva salutato poco prima: Pietri è caduto! Una piccola folla di giudici gli corre incontro (pare ci fosse anche Sir Arthur Conan Doyle, il "papà" di Sherlock Holmes) ma l'italiano ha ancora la forza di rialzarsi da solo. Ormai il traguardo è a portata di mano, ma Pietri non se ne rende conto. Cade ancora, la linea di arrivo sarà a una trentina di metri. Stavolta lo rimettono in piedi di peso. Intanto Hayes ha fatto il suo ingresso in pista e sembra che abbia le ali ai piedi. Si corre un'assurda corsa tra una lepre e una tartaruga. Pietri cuce un drammatico zig-zag: tre metri a destra, due a sinistra, per avanzare di un passo. Hayes rimonta ma il fornaio di Carpi è ormai a cinque metri dalla fine. Il pubblico è diviso a metà: c'è chi sembra sospingere l'italiano con il suo incitamento e chi soffia alle spalle dell'americano perché annunci il distacco.
-Può ancora farcela.
-Impossibile, l'altro sta per arrivare.
Pietri barcolla, tende una mano, quasi volesse afferrare un miraggio; sta per cadere una terza volta quando, provvidenziale come un angelo custode, un giudice, paglietta in testa e megafono in mano, lo sorregge per un braccio. Pietri si rianima, ha un ultimo guizzo e taglia finalmente il traguardo, poi stramazza al suolo. Due ore, cinquantaquattro minuti, quarantasei secondi, tanto è durato il suo calvario. Passano 32 secondi e arriva Hayes. Intanto in tribuna d'onore si consuma una piccola tragedia: la signora con il cappellino si è portata una mano al petto, accasciandosi sulla poltrona.
-La regina è svenuta!
-I sali, presto.
Ma è stato tutto inutile; persino una regina è svenuta per nulla. Pietri sarà squalificato e la vittoria verrà assegnata a Johnny Hayes, Stati Uniti. L'intervento del giudice è stato irregolare, così come l'aiuto prestato all'italiano dopo la seconda caduta. A nulla varranno le proteste degli accompagnatori di Pietri, secondo i quali gli aiuti non sono mai stati richiesti. Al fornaio di Carpi resterà l'onore del paragone con Filippide, il primo, drammatico eroe di Maratona.
Ah, dimenticavamo... anche quello di un'uscita trionfale: ottantamila persone tutte in piedi, mentre escono insieme, lui in barella e la signora dal cappellino con il suo seguito.
(Claudio Ferretti – Le 40 leggende dello sport italiano)



1 commento:

  1. non conoscevo questa storia. affascinante, grazie clandestino.
    Lseven9

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