venerdì 10 febbraio 2012

La ruota che gira

Cent'anni fa gli italiani emigravano. Andavano via da un paese povero, arretrato, diviso fra un nord conquistatore e più ricco e un sud conquistato e più povero. Tenuto insieme con la colla dell'unificazione sabauda ma senza un vero progetto di Paese.
E la gente andava. Andava in cerca di una vita migliore, non tanto per sè (perché i lavori che andavano a fare questi migranti erano veramente duri e, talvolta, terribili) ma per chi sarebbe venuto dopo.
Era un progetto.
Vero.
Francia, Belgio, Argentina, Stati Uniti...
Gli italiani andavano.
Poi siamo diventati, se non ricchi, almeno borghesi. E pantolofai. E non siamo andati più. Abbiamo coltivato il portafogli ma non il cervello. Senza nessuna base culturale, abbiamo cominciato a comportarci da arricchiti scemi, come si vedono nei film, senza un minimo di gusto, di poesia, di cultura, di senso del bello. Rozzi, volgari, di quelli che vogliono darsi un tono, ma un tono non ce l'hanno.
Abbiamo cominciato a essere macchiette, pensando che bastasse una pelliccia per simulare la nobiltà.
E in questo modo ci siamo comportati con quelli che sono arrivati qui dall'estero. Con sufficienza, con arroganza, con odiosa superficialità. Con (presunta) superiorità.
E ora? Ora sono finiti anche quei tempi, cari miei. C'è un altro mondo all'orizzonte. Altre ricchezze, altre realtà, altre pellicce. I vostri figli andranno a fare i camerieri in Cina, in Brasile, in India...
E io... devo dire che sono contento. Verranno su senz'altro meglio di chi li ha preceduti.

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