martedì 10 gennaio 2012

Cercando un'altra Itaca


Ci sono giorni in cui non c'è niente che vada. Si vede tutto nero, non si ha voglia di parlare, di camminare, di ridere, di scambiare lo sguardo con quello degli altri. Ci si sente inutili e inadeguati ovunque e qualsiasi cosa si stia facendo. 
Oggi è un giorno di questi, in cui il peso di un'esistenza di contrabbando si fa sentire e schiaccia. 
Con forza.
Con rabbia.
Uno di quei giorni in cui vorrei essere un tranquillo ragioniere di provincia, fare le otto ore di lavoro e rientrare a casa dalla famigliola. Crogiolarmi nei piccoli gesti quotidiani e andare a letto presto a sognare una vita avventurosa.
Penso che è quello che voleva anche Ulisse, il gran clandestino per eccellenza, che per anni ha vagato nel mediterraneo desideroso di tornare nella sua Itaca ed è stato sballottato qua e là, come in quei sogni in cui cerchi di correre ma hai la sensazione di non muoverti. E ti prende l'angoscia.
E aumenta la voglia di tornare nella propria Itaca, anche se l'angoscia di poterci o doverci tornare (anche là) da clandestino fa gonfiare di ansia il cuore.
E ti chiedi quando finirà questa eterna fuga, questo doversi guardare sempre attorno, questo non avere una casa, un volto da cercare la sera, un qualcosa di banale ma di confortante. Questo dover cambiare sempre ambiente, aver paura delle facce nuove. E ti chiedi cosa ti ha portato a tutto questo. E sarebbe meglio che non te lo chiedessi, perché la risposta la conosci. E, alla fine, temi di conoscere anche il resto... e pensi: ma sarà stato vero che Ulisse aveva voglia di tornarci, a Itaca?


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