mercoledì 7 dicembre 2011

Di altri Clandestini


Carlos ha 32 ed è nato in un paesino sulle montagne boliviane. L'ho conosciuto qualche mese fa, quando, più per curiosità che per effettivo desiderio di fare sport, ho messo piede in una palestra. C'era questo ragazzo dai tratti duri e nervosi, che mi ha accolto e si è messo a spiegarmi un po' come funziona da quelle parti. Tempo mezz'ora mi era passata quel po' di voglia di sudare, ma mi ero fatto un amico. E tali siamo rimasti, così mi ha raccontato la sua storia, ed è una storia di sofferenza, di terrore, di schifo, di grande dignità e, finalmente, di riscatto. Fino a quando durerà. Fino quando anche lui, come il sottoscritto, non sarà costretto a scappare ancora. D'altronde è il destino dei clandestini... la cacofonica ripetizione non è casuale.
Carlos ha cominciato a combattere da giovanissimo. Mi ha spiegato che da quelle parti, quando sei un bambino, non hai molte possibilità: o fai la fame, o vieni venduto, o vieni ammazzato. Oppure diventi un delinquente. Oppure diventi un combattente. Una specie di gladiatore, che lotta per la sopravvivenza, giorno dopo giorno. E lo fa per divertire gli altri... altri disperati, disgraziati, che ridono e tirano fuori tutta la loro bestialità nel vedere due uomini nudi che si affrontano in uno spiazzo polveroso.
E si battono, spesso, fino alla morte... di uno o dell'altro.
E' incredibile come nel 2011 si possano sentire ancora certe cose, ma ci sono angoli di mondo in cui succedono. E Carlos viene da uno di questi angoli. Ha cominciato a combattere che aveva 13 anni; è stato ferito, ha subito fratture dappertutto, è stato umiliato, e lo stesso ha fatto lui: ha ferito, ha fratturato, ha umiliato. Ha ucciso. 
E' stato costretto a farlo... come un animale che non ha altra scelta. Uccidere o morire.
Carlos è fuggito. Ce l'ha fatta, uno dei pochi che riesce a fuggire da quel mondo. E non solo... Carlos ha anche denunciato quello che ha vissuto. E da lì sono cominciati i suoi guai, quelli seri. Ecco perché siamo diventati così amici. Abbiamo molti punti in comune, non ultimo quello di non essere riusciti a stare zitti quando dovevamo.
Però per fortuna Carlos è riuscito a fuggire dal suo paese e oggi vive qua, in Europa, nella stessa città dove vivevo io fino a qualche mese fa. Non diciamo quale... non si sa mai. 
E lavora in una palestra, ma non solo. Lavora con i ragazzini dei sobborghi, quelli a rischio; un po' come lo era lui nel suo paese. Gli insegna il combattimento, ma non per fare male, non per ferire, non per uccidere. Gli insegna il combattimento come disciplina, come sport. Come qualcosa che ti insegna la vita, quella vera, quella pulita, quella da vivere, da sognare, da interpretare, da condividere. Quello che insegna lui lo chiama M.M.A. (Arti Marziali Miste) e mi spiega che in occidente è uno sport molto popolare tra i giovani.
E con questo sport, seppur duro, tanti ragazzini a rischio, si rimettono in carreggiata. Capiscono... perché Carlos è anche bravo a farsi capire. Ha sul volto e sul corpo i segni della sofferenza, del dolore. Dello schifo. E i ragazzini lo percepiscono questo. E' bello vederli che si affrontano con lealtà, la stessa che, speriamo, metteranno poi nella vita. Lui glielo insegna. Loro ce la mettono tutta per imparare.
Ciao Carlos... non ci vediamo da un po' di tempo e tu odi i computer e tutto quanto vuol dire tecnologia, quindi, sicuramente non leggerai mai queste righe. Spero di potertele fare leggere un giorno, quando i nostri (clan)destini si incroceranno di nuovo. E succederà. Lo sai tu, lo so io.
Buon lavoro, intanto... ci fossero più Carlos al mondo... sarebbe un mondo migliore.
Ciao.


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