sabato 31 dicembre 2011

Ciao 2011


E ora? Come lo chiudiamo il 2011 in questo blog? Che possiamo dire che non verrà detto nelle prossime ore? Giornata di bilanci: si conteranno i nati, si conteranno i morti; si faranno le classifiche... i più e i meno dell'anno; si canterà L'anno che verrà di Lucio Dalla e il cielo verrà invaso da una miriade di "caro amico ti scrivo..." 
Stanotte si stapperanno bottiglie, si scambieranno auguri e false promesse, qualcuno si farà saltare una mano con i botti, a qualcun altro andrà anche peggio... si ascolterà il discorso di fine anno di Napolitano essendoci dimenticati quello dell'anno precedente, così non ricorderemo quanto saranno uguali. 
A mezzanotte guarderemo negli occhi la persona che ci sta accanto... faremo cin cin con il bicchiere, magari ci diremo: ti amo e venti secondi dopo non ci crederemo già più.
Balleremo musiche che in altri momenti ci farebbero vomitare e spenderemo per una cena tre volte tanto di quanto spenderemmo in un'altra serata.
Tutto questo e molto altro, per far finta che domani sarà migliore, per voler credere ancora in quella maledetta parola: speranza, che alla fine non è il motore del mondo, ma ne è la sua rovina. 
Calendario Maya
Insomma... sarà un capodanno come tutti quelli passati. Noioso e triste, anche se tutti faremo finta di divertirci per poi dire: ma per me non cambia niente, è una sera come le altre.
E un Clandestino che farà in questa notte? Non so... probabilmente se ne andrà in giro per le strade, a osservare volti, comportamenti, sguardi. Sarà in giro nel freddo di questa città, a pensare a quale sarà la prossima ad ospitarlo. E sarà in giro per guardarvi in faccia! Per leggere la disperazione sui vostri sorrisi, e vedere che effetto che fa, a sovrapporla a quella di chi, di sorridere, non ne ha nessuna voglia.

E poi... tanto ci penseranno i Maya, no?



UN GRANDE FARDELLO


Pare, da notizie rimbalzate dappertutto, che chiuda il Grande Fratello. 
Caspita, che notiziona. 
Chiude il Grande Fratello e ne parlano tutti i giornali on line. Chiude il Grande Fratello e se ne discute sui social network.
Chiude il Grande Fratello e sono tutti contenti. Ovviamente ora non lo guardava nessuno. Ovviamente.
Ovviamente ora tutti dicono che era uno schifo.
Il dramma è che è vero.
Il Grande Fratello è uno schifo.
Ma i suoi danni li ha già fatti in questi dieci e passa anni di permanenza in televisione. Non sottovalutiamo quanto sia cambiato il costume e il modo di comportarsi, non tanto dei giovani, quanto dei.. diciamo "meno giovani". Trentenni e quarantenni (e forse anche più) che si comportano come gli imbecilli chiusi in questa casa.
Perchè oggi le persone sono cambiate.
Voi siete cambiati. Anche se (almeno così dite) non avete mai guardato il Grande Fratello.
Forse è vero, ma non c'era bisogno di guardarlo. Qualcosa di strisciante si è insinuato nelle menti dei poveri terrestri.
E i comportamenti da Grande Fratello sono diventati consueti. 
I sentimenti, cose da poco come l'amore, diventato ormai qualcosa da sparare nell'etere, da ostentare. Da gridare e mettere sulla prima pagina di un giornale, invece di sussurrarlo e di scriverlo giorno giorno su un diario da leggere in due.
Invece si deve ostentare.
Sì, ostentare.
Si ostenta ciò che non è, ciò che non si ha.
Eppure si ostentano i sentimenti.
Si ostentano comportamenti di ogni genere. 
Si piange, non si fa altro che piangere, per qualsiasi cosa.
Insomma... come in quella casa. Come negli altri reality show. Come se ci fosse sempre davanti una telecamera. Perché ormai il gioco è diventato questo: far finta di essere, far finta di provare qualcosa, far finta di soffrire, far finta di star bene, far finta di amare, far finta di commuoversi, far finta di emozionarsi.
Fare finta.
E poi esultate che chiuda il Grande Fratello?
Il Grande Fratello siete voi.
Dovreste chiudere.


giovedì 29 dicembre 2011

L'ORCHESTRA DEL TITANIC


Ci sono segnali sempre più inquietanti di un mondo a venire che potrebbe essere non molto bello da vivere. Sbirciando qua e là sui giornali on line, vedo che si moltiplicano un po' ovunque casi di furti (o tentati tali) nei supermercati compiuti da poveracci, da pensionati, da madri di famiglia. Piccoli furti per rubare qualcosa da mettere in tavola. 20 euro di carne, ho letto oggi, da una signora sessantenne.
E' vita questa? 
In che mondo siamo riusciti a finire?
E possibile che chi tiene le fila non si accorga di quanto sta succedendo? No, non è possibile, infatti se ne accorgono, eccome. E non solo si accorgono, ma sono contenti che sia così. Sta cambiando tutti, stanno arrivando tempi nuovi, che saranno peggiori di quelli andati. C'è bisogno di nuovi nemici, c'è bisogno di umiliazioni. C'è bisogno che chi ruba la carne al supermercato sappia che se lo fa è colpa di chi è venuto al suo paese a rubargli lavoro e opportunità.
C'è bisogno di odio.
C'è bisogno di guerre.
Ci saranno, probabilmente.
E noi siamo ancora qui, a suonare come l'orchestra del Titanic mentre la nave va a fondo. Ma non tutti si salveranno, in tanti affogheranno... e mentre lo faranno staranno a maledire l'iceberg e non l'incompetenza del capitano che stoltamente ha mandato la nave a sbatterci contro.


martedì 27 dicembre 2011

In Bocca al coccodrillo


Giorgio Bocca

E' morto Giorgio Bocca.
Era un comunista! Chi lo dice? I fascisti.
Era un fascista! Chi lo dice? I comunisti.
E' stato berlusconiano! Chi lo dice? Gli antiberlusconiani.
Era razzista e antimeridionalista! Chi lo dice? I meridionali.
Era giusto ed equo! Chi lo dice? I settentrionali.
E così via...
Era di sinistra. No, di destra. Insomma... un po' qua e un po' là. Era questo, era quell'altro.
Era un grande giornalista, un santo, un angelo, un uomo perfetto... no, era un diavolo, un satrapo, un rincoglionito. Insomma, ci ripenso... dài, sentiamo Scalfari, no, sentiamo Pansa, che la pensa all'opposto. Ma non erano colleghi? Sì, appunto.. erano!
Pansa gongola: io sono l'unico grande giornalista italiano! Non lo dice ma lo pensa. Pensa anche di essere libero perché spara cazzate sulla guerra partigiana. E oggi gongola perché c'è uno di meno.
Scalfari gongola: ne ho seppellito un altro. Non lo dice ma lo pensa. Pensa anche di essere il miglior giornalista italiano perché lui, a Pansa e a Bocca, ci stava sopra. Sembra quasi pornografica, 'sta cosa, messa così.
Giorgio Bocca è morto.
Immediatamente si è aperta la gara per chi lo conosceva meglio e di più. Immediatamente era mancato un grande giornalista, partigiano, voce libera e autorevole di un Paese che se ne va alla deriva e chissàquandonasceràunaltrocomelui ecc. ecc.
Poi... ripensamento. Attenzione, aveva detto cose contro il sud!!! (In realtà aveva detto cose a favore del sud, ma chi pensa solo a lagnarsi, nella sua vita, e ad applicare l'omertà, oltre che il divieto di contraddittorio non può e non potrà capire).
Contro il sud? Allora diamogli contro! Ma che c'entri tu, sei di Varese! Sì, ma io sono sempre contro. E tu? Io sono di Cosenza! Ma lui aveva parlato di Napoli, non di Cosenza e tu hai sempre parlato di Napoli molto peggio di quanto ne avesse fatto lui. Ma che c'entra? Io mica sono polentone, io sono di Cosenza. Sì ma... va bene, non ti capisco. Nemmeno io capisco te che sei di Varese. Ok ma riuniamoci tutti sotto la stessa bandiera falcemartellata, non abbiamo capito un cazzo di cosa voglia dire, ma almeno ci tiene al caldo. Ok compagno! Ok!
Giorgio Bocca è morto, gli italiani non sanno una sega di chi fosse Giorgio Bocca e, a pensarci bene, non lo so nemmeno io. A volte lo leggevo, a volte no. Era un giornalista, a occhio e croce. Né angelo, né diavolo, credo. Avrà avuto i suoi pregi e i suoi difetti. Sapeva scrivere e questo è oggettivo. Aveva opinioni con cui a volte ero d'accordo e a volte no. 
Non lo santifico né lo demonizzo. Ma questo, alle persone "libere" non interessa, né riescono a capire. Pensano solo a farsi belli in un modo o nell'altro.
E' morto Giorgio Bocca e aveva 91 anni, un'età in cui si può anche morire. Gli imbecilli, invece, non muoiono mai e, neppure, purtroppo... se ne stanno zitti. Sarebbe già qualcosa, ma invece... 
Sic transit gloria mundi.



venerdì 23 dicembre 2011

FRA ME E ME...


Ho aperto questo blog... boh? Forse un po' per gioco, forse un po' sul serio, forse un po' al buio... alla fine non lo so nemmeno io. Forse l'ho aperto perché pensavo che liberare qui tutti i veleni che mi porto dentro da tempo potesse servire, in qualche modo, a farmi vedere il mondo e i suoi abitanti in modo diverso, magari più pulito.
Invece mi rendo conto che accade il contrario. "Il male genera il male" ho letto da qualche parte.
E forse è vero.
Anzi, sicuramente lo è.
E non ho niente per cui devo cercare qui una sorta di assoluzione, questo lo sto capendo giorno dopo giorno. Dopotutto quello che accade è quello che ci andiamo a cercare e, forse, anzi, probabilmente, quello che mi accade sono stato io ad andarmelo a cercare.
I guai.
Le fughe.
Il vivere sempre con un occhio davanti e uno dietro.
La paura.
L'angoscia.
Doversi sentire un clandestino ovunque e rendersi conto che nessun posto è il tuo posto. 
Vagare senza mettere radici.
Piangere senza nemmeno il conforto di qualcuno che possa capire il perché.



E tutto perché sei uno zuccone, un idealista, un povero coglione che non riesce a stare zitto e che nasconde dietro il suo finto cinismo, l'arrogante pretesa di salvare il mondo.
E allora ti ritrovi qui, a scrivere sul web parole che, in qualche modo, possano rappresentarti, ma, allo stesso tempo, siano il più distaccate possibile da te. Perché devi stare attento a non farti "beccare".
Come in un film.
Quelli con i cattivi che ritrovano sempre il poveraccio che stanno cercando.
Ma questo non è un film e tu non sei più furbo di quello che scappa nella pellicola. Sono, forse, un po' meno fantasiosi quelli che ti cercano. Meno male non hanno sceneggiatori hollywoodiani a suggerirgli cosa fare.
E sei pronto, comunque, una volta in più, a fare le valigie. Troppo tempo che stai qua dove stai. E' tempo di cambiare. Un'altra volta. La prima da quando scrivi su questo blog. La prima in cui lo dici. Speriamo non sia l'ultima.


giovedì 22 dicembre 2011

LE DOMANDE INUTILI (to be or not to be)


Oggi ho visto un teschio. Sì, un teschio. Il teschio di un cranio umano. È quasi buffo perché da quelle orbite vuote sembra che ti guardi in modo beffardo.
Un cranio e poco altro... è quello che rimane di noi. Questo siamo?
E, mi chiedevo, prima di essere consumato dal tempo e dalla morte, che volto c'era sopra quel pezzo d'osso?
Di che colore saranno stati i suoi occhi?
Come sorrideva?
Quante lacrime saranno scese su quelle guance?
E quali espressioni, le smorfie... e tutto quanto un volto umano esprime. E come sarà stato quel volto? 
Ma, dopotutto... che importa? A chi importa com'era quel cranio prima di diventare solo un teschio, a chi importa se si chiamava James, Margherita o Franz? A chi importa quale vita abbia vissuto? E' solo un teschio ora... e ha quella curiosa aria beffarda. 
Be', alla fine, devo dire che spero rimarrà anche a me. Dopotutto, l'idea di prendere per il culo qualche perditempo che non ha altro da fare che fissare un teschio e porsi pure delle domande senza senso... un po' mi consola.


martedì 20 dicembre 2011

Se l'Arcivescovo di Valencia...

Matar as un niño indefenso, y que lo haga su propia madre, da a los varones la licencia absoluta, sin limites, de abusar del cuerpo de la mujer"
(Javier Martìnez - Arcivescovo di Valencia)

E intanto mostriamo questa faccia di cazzo.

Poi traduciamo per chi non volesse aver capito, anche se si capisce bene, ma... e in questo caso capisco io, si tende a  pensare di aver letto male.
Uccidere un bambino indifeso, per mano della sua stessa madre, dà agli uomini il diritto, senza limitazioni, di abusare del corpo della donna.

Niente male, vero? Eppure do un'occhiata al calendario ed esso mi dice che siamo nel 2011, quasi 2012, addirittura. Però quella faccia e quelle parole sembrano venir fuori da un periodo oscuro e buio che ha il sapore di inquisizione, macchine da tortura, roghi e quant'altro ha sublimato il potere cattolico in questi secoli (alla faccia del Cristo che predicava l'amore e la povertà, verrebbe QUASI da pensare).
Ma non c'è nemmeno da fare spirito a sentire cose del genere. Viene soltanto da intristirsi a pensare a questi squallidi personaggi, figli delle loro paure, prigionieri di un retaggio che appartiene a cattivi maestri in grado soltanto di condannare qualsiasi espressione di libero pensiero, di frustrati discendenti di quelle menti scellerate che, secoli e secoli fa, al Concilio di Nicea, misero le basi per la più terribile e venefica religione che sia mai esistita: quella cattolica.
Quella di cui anch'io faccio (anche se ne avrei volentieri fatto a meno) parte... quella di cui fate parte tutti voi. Quella che tutti voi abbracciate e tradite ogni giorno. In nome di un Cristo che, se è vero quello che ci hanno raccontato, 2000 anni o giù di lì, aveva delle idee sulle donne un po' più moderne e progressiste di questo emerito imbecille!

Un emerito imbecille che, evidentemente, trova terreno fertile, visto quello che succede in certe manifestazioni che, dietro una maschera di tipo religioso, nascondono una triste e preoccupante assenza di qualunque tipo di pensiero.

sabato 17 dicembre 2011

Oggi tutti dicono: Basta con il Razzismo!


Leggo su internet gli articoli che riguardano la manifestazione di oggi che si sta tenendo a Firenze in ricordo di Mor Diop e Modou Samb, i due ambulanti senegalesi uccisi qualche giorno fa da un fascista e razzista nel capoluogo toscano.
Molta gente, vedo... ci sono online già anche immagini, poi mi arrivano dei messaggi da amiche e amici che si sono recati là da tutta Europa. 
Bene, va bene così. Vanno bene i cortei, le manifestazioni, va bene metterci la faccia, va bene farsi sentire... va bene tutto. Ma, attenzione, il razzismo non è qualcosa che si batte o si combatte con una manifestazione. Il razzismo è qualcosa di strisciante e di insito nell'essere umano. Non è solo questione di bianco nei confronti del nero. E' questione di imbecille nei confronti di altra gente. Alla fine è tutto qui. Si può essere razzisti solo se imbecilli, perché solo chi non ha un briciolo di cervello può pensare di essere superiore a un'altra persona solo perché ha la pelle di un altro colore. Mi chiedo spesso anche come si possa anche solo pensare una cosa del genere. Eppure l'ho sentita dire spesso, molto spesso: troppo spesso. L'ho sentita dire da "onesti e tranquilli" padri di famiglia. L'ho sentita dire da "gentili" madri di famiglia. L'ho sentita dire da "bravi ragazzi" di studenti. L'ho sentita dire da "diligenti" ragazzine. L'ho sentita dire da vecchi e giovani, impiegati e professionisti, operai e dirigenti, poveri e vecchi. L'ho sentita dire da chi votava a destra e anche a chi votava a sinistra. L'ho sentita dire da persone con cui si ha a che fare ogni giorno. 
L'ho sentita dire perché è facile scaricare tutto su chi ha meno di noi e contorcere talmente tanto cuore e cervello da andare a sostituire l'avere con l'essere.
E perché è facile avere paura di chi è diverso da noi, andando a far pesare su di lui tutte quelle che sono le nostre mancanze. 
Imbecilli. Ignoranti. Retrogradi. Delinquenti. Repellenti. Tutto questo e ancora di più, siete... e forse... un pochettino, lo siamo tutti. Anche chi manifesta. Speriamo serva a esserlo sempre meno, fino a toccare lo zero. 
A tutti. 
Anche a te che stai leggendo e sei d'accordo con queste parole.

Oggi tutti dicono: Basta con il razzismo! Si, va bene. E domani?


giovedì 15 dicembre 2011

A NIGHT IN CASABLANCA


I Fratelli Marx

Oggi parola a un genio del cinema, della comicità e del nonsense: Groucho Marx. E non con estratti dai suoi film o dai suoi spettacoli, ma voglio riportare una lettera che scrisse (credo, intorno al 1946) ai fratelli Warner, i grandi produttori hollywoodiani, gli Warner Bros, appunto. Essi, produttori del celebre film "Casablanca" qualche anno prima, cercarono di impedire l'utilizzo del nome della città nel film a cui stavano lavorando i fratelli Marx. Film che si sarebbe poi chiamato, per l'appunto "A night in Casablanca". Groucho scrisse loro alcune lettere, fra cui questa; un capolavoro di satira e di intelligenza, che, letta in inglese, con i giochi di parole con cui sapeva districarsi a meraviglia, sarebbe ancora più godibile. Ma anche con la traduzione il vecchio Groucho sa sempre farsi apprezzare e allora... non resta che lasciargli la parola...

" Sembra ci sia più di un modo di conquistare una città e di mantenerla sotto il proprio dominio. Per esempio, fino al momento in cui noi abbiamo preso in considerazione di fare questo film, non mi era venuto in mente che la città di Casablanca appartenesse in esclusiva ai fratelli Warner. Soltanto alcuni giorni dopo la notizia del nostro film, abbiamo ricevuto il vostro lungo, minaccioso documento che ci diffidava dall'utilizzare il nome di Casablanca. Sembra che nel 1471 Ferdinano Balboa Warner, vostro trisavolo, alla ricerca di una scorciatoia per la città di Burbank, sia sbarcato sulle coste africane e, sollevando il suo Alpenstock (che in seguito convertì in un discreto stock di azioni in borsa) abbia battezzato il luogo Casablanca. 
Il vostro atteggiamento davvero mi sfugge. Anche se voi considerate la possibilità di una riedizione di un vostro film, sono sicuro che l'appassionato di cinema medio farà a tempo a imparare a distinguere fra Ingrid Bergman e Harpo. Io non so se ne sarei capace, ma certamente mi piacerebbe provare. 
Voi pretendete che Casablanca sia vostra e che nessun altro possa utilizzare questo nome senza il vostro permesso. E "Fratelli Warner", allora? Anche questo è vostro? Voi avete probabilmente il diritto di utilizzare il nome di Warner, ma che dire di quello di Fratelli? Professionalmente, noi eravamo fratelli molto prima di voi. Facevamo il giro delle campagne come Fratelli Marx quando la Vitaphone era ancora un barlume nell'occhio del suo inventore, e anche prima di noi c'erano stati altri fratelli: i fratelli Smith (quelli delle pilloline per il raffreddore), i fratelli Karamazov, i fratelli Dan, giocatori della squadra di Detroit; e "Fratello risparmia un soldino", che originariamente era "Fratelli risparmiate un soldino", ma era ridurre un soldino a ben misera cosa, così hanno eliminato uno dei fratelli, dato tutto il denaro all'altro e ridotta la cosa a "Fratello, risparmia un soldino".
Adesso Jack, parliamo un po' di voi. Sostenete che il vostro nome è originale? Ebbene, non lo è! Era usato molto prima della vostra nascita. Così su due piedi mi vengono in mente due Jack: quello di "Jack e il fil di fagiolo" e Jack lo Squartatore che ai suoi tempi si è ritagliato proprio una bella figura.
E voi, Harry probabilmente firmate i vostri assegni sicuro di essere il primo Harry di tutti i tempi e che tutti gli Harry sono degli impostori. Mi vengono in mente subito due Harry che vi hanno preceduto. C'è stato Harry del Faro di rivoluzionaria memoria e Harry Appelbaum che abitava all'angolo della 93ma strada di Lexington Ave. Sfortunatamente Appelbaum non era molto conosciuto. L'ultima volta che ho avuto sue notizie, vendeva cravatte da Weber e Heilbroner.
Ora veniamo agli studios Burbank. Credo che è così che voi fratelli chiamate la vostra sede. Il vecchio Burbank è morto. Forse vi ricordate di lui. Era un gran uomo in giardino. Sua moglie diceva spesso che Luther aveva dieci pollici verdi. Che donna di spirito doveva essere! Burbank era il mago che incrociava tutti i suoi frutti e legumi fino al punto che le povere piante si trovavano in tale stato di ansietà e di angoscia che non sapevano più decidere se dovevano entrare nella sala da pranzo come contorni o come dessert.
Questa è una pura congettura, naturalmente, ma chi sa, forse gli ultimi Burbank non sono molto contenti all'idea che uno stabilimento che macina film a ripetizione si  sia impiantato nella loro città, si sia appropriato del nome di Burbank e lo si usi come marchio per i suoi film. È anche possibile che la famiglia Burbank sia più fiera della patata prodotta dal vecchio che dal fatto che dai vostri studi venga fuori Casablanca o anche Golddiggers of 1931. tutto questo sembra aggiungersi a una diatriba abbastanza amara, ma vi assicuro che non è mia intenzione. Io amo i Warner. Alcuni dei miei migliori amici appartengono ai Fratelli Warner. È anche possibile che io stia facendo un'ingiustizia e che voi, proprio voi, non ne sappiate nulla di questo atteggiamento da Wanger (arrabbiato). Non mi sorprenderebbe per nulla scoprire che i capi del vostro dipartimento legale sono all'oscuro di questa disputa assurda, perché conosco bene molti di loro e sono dei bravi ragazzi, con capelli neri, riccioluti, vestiti a doppio petto e un amore per il prossimo che ipersaroyaneggia Saroyan stesso. 
Ho l'impressione che questo tentativo di impedirci di utilizzare il titolo sia il frutto del cervello di qualche avvocaticchio dalla faccia da puzzola che ha prestato servizio per un breve corso nel vostro dipartimento legale. Conosco bene il tipo: uscito caldo caldo dagli studi di legge, affamato di successo e troppo ambizioso per seguire le leggi naturali della promozione. Questo funesto legale avrà probabilmente punzecchiato i vostri procuratori, la maggior parte dei quali sono bravi ragazzi con neri capelli riccioluti, vestiti a doppio petto, ecc. nel tentativo di perseguitarci. Bene, costui non se la caverà così facilmente! Ci batteremo con lui fino alla corte suprema! Nessun avventuriero legale dalla faccia smorta riuscirà a mettere cattivo sangue fra i Warner e i Marx. Noi siamo tutti fratelli sotto la pelle e resteremo amici finché l'ultimo metro di pellicola di A night in Casablanca si avvolgerà sul rullo. 
Sinceramente...
Groucho Marx "


mercoledì 14 dicembre 2011

Coincidenze


Veduta di Ponte Vecchio

Giusto ieri stavo pensando a un periodo della mia vita passata... e proprio del periodo che ho trascorso a Firenze, nei pochi mesi che ho vissuto là. Ripensavo a tutto, a quella vita, a ciò che facevo, alle uscite, agli amici, agli occhi di quella lei... alla vita fiorentina, ai musei, alle strade, all'Arno, allo stupore di fronte a tanta bellezza.
Troppa.
Pensavo a come mi pesava il tutto. Pensavo a come stavo male a Firenze. Troppo bella. E troppo crudele.
Pensavo alle sensazioni che avvertivo mentre camminavo per le sue strade, al sapore di sangue, all'odore di morte, al dolore e alla violenza che mi pareva di sentire percorrendo quei vicoli bellissimi, antichi e tragici.
Pensavo a come non sono riuscito a resistere e a come sia scappato dopo poco tempo. Non ce la facevo, non riuscivo a sostenere il peso di quella città, che è come una donna troppo bella, che sai già che ti farà del male se proverai a fare quel passo in più. Bella e spietata. 
Pericolosa.
La città del Mostro, d'altronde.
Qualcuno ha già scritto che il Mostro non avrebbe potuto aver vita che da quelle parti. Fra quel paesaggio così meraviglioso da sembrare un paradiso, fra quelle colline così belle e invitanti, come le Sirene di Ulisse. In quella città rilucente di uno splendore che abbaglia e uccide.
E mi è venuto in mente il passo di un libro scritto da Mario Spezi: "Dolci colline di sangue". Libro letto qualche anno fa e che narra le vicende, appunto, del Mostro di Firenze. Spezi è fiorentino purosangue ed è uno dei maggiori esperti della tragica vicenda dell'uccisore (o uccisori) di coppiette. 
E, ricordo, leggendo il suo libro mi aveva colpito un passo, tanto da averlo copiato nel mio pc. E ora voglio riportarlo qui. 

"...Firenze, vista da lontano, è la città dell'armonia, la città che aveva rimesso l'Uomo al centro dell'Universo e aveva inventato il Rinascimento. La città dove erano nati i maggiori poeti, filosofi e artisti che avevano celebrato la bellezza femminile con le loro Madonne e quella maschile con i fieri David; la città dell'eleganza, dei palazzi e delle ville adagiate su colline che sono, esse stesse, opere d'arte. Quel suo Mostro sembrava un contrasto clamoroso.
Si dimentica che Firenze era stata una delle città più crudeli della storia, che all'interno delle sue mura erano stati commessi sadici e raffinati delitti, che la morte vi è stata dispensata quasi quotidianamente sui patiboli disposti appena fuori le porte, che gettò il suo potere sulle altre città toscane a costo di feroci eccidi e guerre sanguinose.
L'aristocratica Firenze fatta di così violenti contrasti, l'orgogliosa Firenze alla quale non è mai importato di esser amata, quanto di essere ammirata, temuta, rispettata, era sgomenta e non capiva come avesse potuto generare un Mostro. Né lo capiva chi di essa aveva conservato solo un'immagine sbiadita dal tempo."

Questa la Firenze di Mario Spezi... alla quale non è mai importato di essere amata, quanto di essere ammirata, temuta, rispettata... sì, Firenze è questa. 
Corpi delle persone uccise nella sparatoria
E oggi Firenze ha voluto altro sangue. Per carità, sarebbe potuto succedere in ogni altro posto del mondo; un grave fatto di sangue è accaduto anche a Liegi, oggi. Ma, non so perché, mi ha colpito in modo particolare, anche per il fatto che era proprio ieri che ci pensavo. Pensavo alla violenza, alla morte e a quanta ne ho avvertita camminando per Firenze. Ed è stato uno shock vedere che poche ore dopo il sangue tornava a scorrere per le sue strade, in quel meraviglioso centro che non ha eguali nel mondo. 
Ed è stato uno shock pensare a un povero imbecille che si trasforma in giustiziere di povera gente, "colpevole" soltanto di avere la pelle di un altro colore. Persone... persone che parlano, camminano, ridono, mangiano, sbagliano, amano, tradiscono... come tutte le altre. Persone che da oggi non respirano più. Per colpa di uno come loro, che non ha avuto quel briciolo di cervello necessario per capire che, sia lui che le sue vittime, erano solo persone. 
Persona che sarà stato già idiota di suo, senz'altro, perché il razzismo e la violenza non sono altro che il prodotto più basso della stupidità umana, e che questa sia stata amplificata da certe frequentazioni, che mirano soltanto a indirizzare la rabbia della gente verso chi ha meno. Come solo i vigliacchi sanno fare. Loro e il loro stupido odio senza ragione.
Io spero soltanto che facciano la stessa fine e al più presto possibile. 


martedì 13 dicembre 2011

FUKUSHIMA MON AMOUR...


L'amico Paolo (almeno, penso di poterti considerare così, Paolo, non mi piace il termine "lettore" o qualcosa di simile) mi ha scritto una mail allegando questo link: http://www.cadoinpiedi.it/2011/12/12/allarme_nucleare_fuoriuscita_radioattiva_da_una_centrale.html e chiedendomi cosa ne penso.
Ora, a parte il dispiacere per il povero ragazzo morto mentre montava il palco per il concerto di Jovanotti e lo sdegno per quegli altri personaggi da operetta negli altri due articoli, penso che Paolo si riferisse all'articolo su Fukushima.
Controllo livello di radiazioni sulla popolazione
Già... bravo Paolo. Ottimo suggerimento. In effetti c'è da chiedersi dove finiscano le notizie, anche quelle importanti, quelle da "edizione straordinaria" si sarebbe detto una volta. Là in Giappone c'è stato un disastro prima naturale poi chimico, qualche mese fa. Giorni e giorni di paura, di prime pagine, di previsioni catastrofistiche e poi? Poi... puff!! Il nulla. Questo vorrebbe dire che non c'è alcun pericolo? Allora perché tutto quell'allarmismo solo pochi giorni prima? Che forse non è successo niente? E tutte le persone che sono morte? E quelle che hanno subito danni? E quelle che moriranno? E i cibi? Alla fine... sono infetti o no? Dove sono gli organi di controllo? E i giornalisti? Che fanno, danno le notizie solo quando fanno vendere e poi quando sono scadute... un po' come le uova... allora le buttano via?
E noi? Siamo così abituati alla mancanza di informazione da stare tranquillamente e pedissequamente a subire le decisioni altrui senza battere ciglio? Senza pretendere di essere giustamente e costantemente informati?
Pare proprio di sì, d'altronde non è la prima volta che succede e, temo, non sarà l'ultima. Ma ringrazio Paolo di avermi aperto gli occhi, oggi. Cercherò di starci più attento, di mettere in moto la memoria, di ripensare a tutto quanto viene, prima sparato come una cannonata, poi messo a riposare in armadio sotto naftalina. Così, senza un motivo... almeno, senza un apparente motivo.
E mi auguro, altresì, che vi siano invece sempre più organi di informazioni capaci di andare ugualmente avanti, anche se la direzione dovesse essere ostinata e contraria.


lunedì 12 dicembre 2011

GATTOPARDI


LA VIOLENZA
"Forse non abbiamo ancora capito, la sinistra non ha capito, i partiti e i sindacati non hanno capito, con quale carica di violenza e di ingiustizia il governo Amato sta colpendo una parte della popolazione, milioni di persone in carne e ossa, la loro figura sociale e la loro vita minuta.
Chi lavora è colpito due, tre, quattro volte, nel sostentamento della salute, nella vecchiaia. È disprezzato e ingannato oggi e per il futuro. Gli è riservato un destino di tipo, se non somalo, albanese o plebeo e ciò che gli viene tolto e riversato nei forzieri del privilegio, corazzati e intangibili. Oscenatamente si chiama un pensionato a spartire i sacrifici con il padrone di una Ferrari, concorrendo "in proporzione" al bene comune.
Ma chi è che governa in questo modo? E' gente che non ha nessun titolo per farlo. Sconfitta alle elezioni, rimessa lì da partiti corrotti, in crisi, screditati. È un governo della stessa pasta di quelli che hanno portato il paese al dissesto e alla degradazione, il suo capo è uno che ha imparato lì dentro il suo cattivo mestiere.
Per andare dove? E' falso che questa carica di violenza e di ingiustizia sfascia oggi per risanare domani. Non ci crede nessuno, neanche coloro che applaudono, neanche la nostra fasulla borghesia che pensa a guadagnar tempo, a mettere i soldi al sicuro, a demolire le ultime difese della democrazia. La voragine del debito pubblico e le sue cause strutturali restano inalterate e preparano il peggio.
Eppure noi ci sorprendiamo che vadano dilagando, contro tutto questo, protesta e rivolta, nelle piazze e negli animi. Non crediamo ai nostri occhi, tanto siamo disabituati e insicuri. E nella collera sospettiamo la provocazione, nell'esasperazione la colpa. Dunque continuiamo a non capire, non facciamo i conti con noi stessi e non ci rendiamo conto che l'ostilità di troppa gente umiliata, offesa e delusa investe anche noi.
Abbattere questo governo, contestare non questa o quella sua nefandezza o pochezza ma la sua natura e la sua esistenza, non è un obiettivo massimo, ma minimo e preliminare: se la sinistra non lo pone apertamente non fa il suo dovere né verso se stessa né verso il paese. È falso che non esistano altre vie d'uscita: indecenti compromessi sono ancora possibili, ma consumata l'ultima sconfitta non lo saranno più. Ed è un obiettivo a portata di mano, perché corrisponde al senso comune: uno sciopero generale sarebbe oggi davvero generale, priverebbe questo governo di ogni parvenza di consenso e avrebbe un valore rigenerante per tutti, non solo per il movimento sindacale, ma per la vita pubblica.
Non è solo deplorevole ma tragica, l'aggressione e la violenza (anche se esistono tragedie più grandi intorno a noi). Prendiamocela pure con i soliti provocatori, se ci fa piacere. Ma è bene sapere che se il malessere sociale non troverà piena udienza e guida e sbocchi a sinistra, la sfiducia e il discredito non ci risparmieranno. E la peggiore destra avrà (se già non l'ha) partita vinta: così va la storia."
articolo di LUIGI PINTOR – Il Manifesto, 24 Settembre 1992

Cioè... quasi vent'anni fa. Al di là di come ognuno la pensi, come si vede... non è cambiato molto. 



"basta sostituire Sicilia e siciliani con Italia e Italiani"

sabato 10 dicembre 2011

E' MIO


Mio. Il possesso. L'ossessione per il possesso. Quanto di più squallido ci sia nell'essere umano: la pretesa, la presunzione, l'arroganza di voler possedere. Possedere oggetti, possedere persone, possedere la terra, la natura.
"Questo è mio!" Chi sarà il primo scellerato che l'ha detto? E come sarà che ha avuto ragione e poi il mondo si è sviluppato sul possesso? Eppure c'erano popolazioni, come i nomadi, che non hanno mai avuto la pretesa di possedere un territorio. 
Ma qualcuno, un giorno, è arrivato e ha detto: "questo è mio!" E subito dopo, chi passava di lì da sempre, chi usufruiva dei beni che la natura offre, con generosa gratuità, si è trovato a essere nel torto.
E allora sono nati i "ladri". Ma il primo furto è stato ben peggiore... il furto della terra, della natura.
Un po' come se... come se io facessi un sentiero tutti i giorni, se passassi sempre di lì e poi un giorno ci trovo un recinto, una casa. E una persona con il fucile che mi dice: qua c'è mio, tu non ci passi più.
E se ci passo sono un ladro.
Ed è su questo che si è fondata la società. Quando l'essere umano è diventato stanziale è cominciato il suo degrado. E sono arrivate le degenerazioni chiamate società, religione, organizzazione, stato. 
Evidentemente doveva andare così, ma almeno posso e voglio dire che a me non piace per niente!


mercoledì 7 dicembre 2011

Di altri Clandestini


Carlos ha 32 ed è nato in un paesino sulle montagne boliviane. L'ho conosciuto qualche mese fa, quando, più per curiosità che per effettivo desiderio di fare sport, ho messo piede in una palestra. C'era questo ragazzo dai tratti duri e nervosi, che mi ha accolto e si è messo a spiegarmi un po' come funziona da quelle parti. Tempo mezz'ora mi era passata quel po' di voglia di sudare, ma mi ero fatto un amico. E tali siamo rimasti, così mi ha raccontato la sua storia, ed è una storia di sofferenza, di terrore, di schifo, di grande dignità e, finalmente, di riscatto. Fino a quando durerà. Fino quando anche lui, come il sottoscritto, non sarà costretto a scappare ancora. D'altronde è il destino dei clandestini... la cacofonica ripetizione non è casuale.
Carlos ha cominciato a combattere da giovanissimo. Mi ha spiegato che da quelle parti, quando sei un bambino, non hai molte possibilità: o fai la fame, o vieni venduto, o vieni ammazzato. Oppure diventi un delinquente. Oppure diventi un combattente. Una specie di gladiatore, che lotta per la sopravvivenza, giorno dopo giorno. E lo fa per divertire gli altri... altri disperati, disgraziati, che ridono e tirano fuori tutta la loro bestialità nel vedere due uomini nudi che si affrontano in uno spiazzo polveroso.
E si battono, spesso, fino alla morte... di uno o dell'altro.
E' incredibile come nel 2011 si possano sentire ancora certe cose, ma ci sono angoli di mondo in cui succedono. E Carlos viene da uno di questi angoli. Ha cominciato a combattere che aveva 13 anni; è stato ferito, ha subito fratture dappertutto, è stato umiliato, e lo stesso ha fatto lui: ha ferito, ha fratturato, ha umiliato. Ha ucciso. 
E' stato costretto a farlo... come un animale che non ha altra scelta. Uccidere o morire.
Carlos è fuggito. Ce l'ha fatta, uno dei pochi che riesce a fuggire da quel mondo. E non solo... Carlos ha anche denunciato quello che ha vissuto. E da lì sono cominciati i suoi guai, quelli seri. Ecco perché siamo diventati così amici. Abbiamo molti punti in comune, non ultimo quello di non essere riusciti a stare zitti quando dovevamo.
Però per fortuna Carlos è riuscito a fuggire dal suo paese e oggi vive qua, in Europa, nella stessa città dove vivevo io fino a qualche mese fa. Non diciamo quale... non si sa mai. 
E lavora in una palestra, ma non solo. Lavora con i ragazzini dei sobborghi, quelli a rischio; un po' come lo era lui nel suo paese. Gli insegna il combattimento, ma non per fare male, non per ferire, non per uccidere. Gli insegna il combattimento come disciplina, come sport. Come qualcosa che ti insegna la vita, quella vera, quella pulita, quella da vivere, da sognare, da interpretare, da condividere. Quello che insegna lui lo chiama M.M.A. (Arti Marziali Miste) e mi spiega che in occidente è uno sport molto popolare tra i giovani.
E con questo sport, seppur duro, tanti ragazzini a rischio, si rimettono in carreggiata. Capiscono... perché Carlos è anche bravo a farsi capire. Ha sul volto e sul corpo i segni della sofferenza, del dolore. Dello schifo. E i ragazzini lo percepiscono questo. E' bello vederli che si affrontano con lealtà, la stessa che, speriamo, metteranno poi nella vita. Lui glielo insegna. Loro ce la mettono tutta per imparare.
Ciao Carlos... non ci vediamo da un po' di tempo e tu odi i computer e tutto quanto vuol dire tecnologia, quindi, sicuramente non leggerai mai queste righe. Spero di potertele fare leggere un giorno, quando i nostri (clan)destini si incroceranno di nuovo. E succederà. Lo sai tu, lo so io.
Buon lavoro, intanto... ci fossero più Carlos al mondo... sarebbe un mondo migliore.
Ciao.


martedì 6 dicembre 2011

Una lacrima sul viso


In realtà non vorrei dire niente e forse non c'è niente da dire. O meglio.. è già stato detto tutto; dal commento più ironico a quello più speranzoso, da quello velenoso a quello fideista. Insomma... le parole servono a poco, contano i fatti e finora i fatti sono questi: lacrime e sangue. Però non vorrei che la classe dirigente se la cavasse con le lacrime e lasciasse il sangue alla popolazione (naturalmente una "certa" popolazione, che poi è la più numerosa). Quella popolazione a cui toccherà pagare una gran parte di questa manovra. E al sangue, temo, a quel punto dovrà aggiungere anche le lacrime. Manco queste sono più gratis...



lunedì 5 dicembre 2011

Il vento della crisi


Crisi... 
Crisi.
Crisi?
Vorrei che qualcuno, finalmente, volesse o potesse o tentasse anche solo di spiegare cos'è questa crisi. Da dove viene, dove andrà, da chi è stata provocata e, soprattutto, perché.
Non mi si venga a dire che quanto è stato farfugliato finora possa corrispondere anche solo minimamente alla verità. Sennò ci sarebbe da fare altro che rivoluzione. 
Diteci la verità, almeno. 
Così potremo, non dico perdonare, ma almeno passarci di sopra con più eleganza, più consapevolezza.
Certo, sul passarci di sopra non c'è dubbio, quello mi pare scontato. Ci passeremo di sopra lo stesso, anche facendo finta di credere alle clamorose cazzate che vengono raccontate. 
Crisi.
Dov'è la crisi, che i calciatori continuano a guadagnare cifre ignobili? E gli attori, i cantanti, gli showman and woman... c'è tutto un mondo patinato che continua a esserlo, anzi.. lo è anche più di prima. 
Crisi? 
Vorrebbe dire che mancano i soldi?
O che i soldi ci sono ma prendono solo determinate direzioni?
E perché parlate di crisi? Cosa deve succedere?
Dove volete portare i pensieri di chi ha sempre meno?
Domande che non avranno una risposta... o meglio, sì, la risposta l'avranno. La risposta che darà il tempo; una risposta muta perché non c'è stata alcuna domanda. Ma io lo chiedo... e ritirerò fuori queste parole al mutare della situazione. Quando mi accorgerò che questa risposta è arrivata. Non se portata dal vento o no... ma un giorno o l'altro (e, purtroppo, temo e molto, l'avvicinarsi di questo giorno) arriverà.


venerdì 2 dicembre 2011

DENTRO O FUORI?


Leggere nella rete mi fa sorridere. Per modo di dire, in realtà si ride per non piangere. Leggo e sento sempre parlare di libertà. Libertà, libertà, libertà. "Io sono libero" "Io sono libera"... ognuno è libero, ognuno la può persino insegnare agli altri, 'sta cazzo di libertà. Che poi anch'io ci torno spesso sopra, ma... sai quando hai le lische lì, nella gola, che non vanno né su né giù...
Libertà...
Libertà è partecipazione, diceva Gaber. E chi partecipa? 
Libertà viene intesa invece come individualismo, come se la libertà volesse dire: "faccio il cazzo che mi pare". No, non è così. Quello si chiama egoismo... si chiama arroganza... si chiama menefreghismo.
Libertà...
...
Oggi camminavo per strada e ho notato una cosa... talmente semplice, talmente, ormai, normale, da faticare a notarla, anche se ce l'abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ho notato che le case... beh, le case... non so davvero se mettermi a ridere o a piangere.
Parlate di libertà e mettete le sbarre alle finestre. Le case hanno quasi tutte sbarre alle finestre. 
Sbarre.
Le sbarre le hanno le prigioni.
La prigione è laddove si nega la libertà all'individuo. 
La prigione è prigionia, appunto.
E le prigioni hanno le sbarre... per non uscire. 
Come le vostre case. Freudiane.
Libertà...


giovedì 1 dicembre 2011

1 Dicembre

Era il primo dicembre di tanti anni fa, di tante vite fa. Ci sono giorni che restano impressi nella memoria e vallo a sapere il perché. Un giorno particolare, una canzone particolare, un gesto particolare... che rimangono impressi nella memoria anche a distanza di decenni. Magari non è successo niente di particolare e forse la sua straordinarietà è questa: che non c'era niente di particolare che doveva succedere. Come quel primo dicembre, ricordi? Sì, lo so, non leggerai queste righe, ma non importa. Io te le scrivo lo stesso, perché sono seduto a un vecchio tavolo in una vecchia stanza di una vecchia casa... in una vecchissima città, dove parlano quella lingua che a te piaceva tanto. E te le scrivo lo stesso perché so che anche tu, da chissà quale altra parte del mondo, ricordi ancora quel primo dicembre di tanti anni fa. Era veramente un'altra vita. Credevamo in talmente tante cose che non ci siamo nemmeno accorti di come e quando le abbiamo perdute e come siamo arrivati a non credere più a niente. Ora diresti: "parla per te!" con quel broncio che ti faceva venire le fossette sulle guance, ma subito dopo abbasseresti lo sguardo, sapendo che ho ragione. Perché sei stata la prima a non crederci più e, forse, in qualche modo mi hai contaminato. Ma non te ne vorrò, per questo. Dopotutto ogni tanto si sta bene anche a occhi aperti.
Ma ora non ci voglio pensare alle conseguenze, ai "poi", a quello che è stato o non è stato. Voglio ripensare a quel primo dicembre, a quel volto, a quell'aria, a quei sorrisi e a quella canzone. Che è stata nostra e lo rimarrà... e forse un giorno la riascolteremo insieme... prima o poi.