A volte non si sa cosa scrivere. Si ha voglia di farlo, ma si riesce soltanto a buttare giù due righe di inutili segni neri su sfondo bianco e poi cancellare. E cancellare... e cancellare...
Ci sono giorni in cui la memoria prende il sopravvento e vorrebbe essere solo lei a dettare alle dita il percorso da fare sulla tastiera. Ma a cosa serve? A niente. E allora com'è che non ti riesce di chiudere tutto? Di andare a dormire, oppure di uscire e... andare a camminare, entrare in un bar e ubriacarti, salire in macchina e guidare fino a che non finisce la benzina... potresti andare a suonare qualche campanello, oppure a puttana, o ancora a sederti da qualche parte a osservare il niente. No, invece rimani lì... a lasciar scorrere il tempo. A fissare la memoria su particolari, su due occhi, su dita che scorrono la costola di un libro, su un bicchiere di sangria e una fetta di sacher. Su un tavolo bianco e un foulard rosso. A parole, sguardi, sensazioni. Ed è tutto inutile, più o meno come quella sigaretta lasciata nel posacenere che si consuma lentamente senza uno scopo.
Come una data cancellata dal calendario.
Come una vita senza una vita.
Come un ricordo senza un riflesso.
Come un pianto senza più lacrime.
Come un telefono che suona a vuoto.
Ma in fondo... cosa importa? Tanto sono solo parole. Come lo furono in un tempo lontano, che sembra ieri, ma forse non è mai esistito; o forse sì, chi lo sa... ma d'altronde il gioco più riuscito del tempo è quello di far finta di esistere. E noi con lui.
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