venerdì 30 marzo 2012

IMBECILLI

Cammini per strada. Incroci gente. Un sorriso idiota, un saluto standard, una faccia assente. Questo è ciò che vedi in chi incroci e allora ti prende una gran malinconia. Pensi: "buon per te che sei imbecille" e da lì prende il via tutta una serie di considerazioni sul mondo e i suoi abitanti che ti porta sempre più giù.
A scendere lentamente, come se fossi invischiato in un liquido oleoso che ti afferra e ti porta a fondo. Inesorabilmente.
E continui a ripetere quella frase a tutte le persone che incontri, conosciute o non conosciute.
"Buon per te che sei imbecille"
E non sai nemmeno chi sono quelle persone, ma immagini che abbiano tutte le caratteristiche negative che ormai leggi ovunque.
Facilità, superficialità, assenza di pensiero. Ti immagini vite piatte, fatte di piccole cose senza importanza, di rapporti falsi come i soldi del monopoli, di bocche aperte pronte a prendere tutto ciò che viene buttato là dentro.
E ti senti ancora più giù.
Poi ti chiedi a che serve.
A che serve essere coerenti?
A che serve passare la vita ad avvolgersi nel pensiero?
E allora ti rendi conto che l'imbecille sei tu.
Sì, l'unico imbecille sei tu, che ci credi ancora. Che credi alla gente, alle loro cazzate; che credi alla vita, alle sue cazzate; che credi alla felicità e alle sue enormi cazzate.
Sì, sei un imbecille, perché ti ritrovi sempre a dover pensare di essere l'unico non imbecille. E invece lo sei. Lo sei, eccome...
E continuerai a esserlo e continuerai a fare finta di consolarti dando dell'imbecille agli altri. Quelli che continueranno a giocare con te, a farti quei sorrisi, quei saluti, quei gesti, che ti lasciano nel tuo liquido oleoso.
E ti viene la voglia di correre. Correre via, correre lontano, correre fuori dai confini di questo mondo. Correre fino a raggiungere un altro pianeta.
Per farti dare, magari... dell'imbecille.






giovedì 29 marzo 2012

L'IGNORANZA AL POTERE (E ALL'OPPOSIZIONE)

Sì alla modifica dell'articolo 18. E' giusto seguire i movimenti del mercato del lavoro.
No! L'articolo 18 non si tocca! E' una violenza verso i lavoratori.
Sì!
No!
Favorevoli.
Contrari.
Milioni e milioni di opinion leader che, quasi come quando fanno la formazione della Nazionale di calcio, si lanciano in trancianti giudizi sull'opportunità o meno di salvare questo famigerato articolo 18.
Famigerato?
Già... famigerato. Chi non ha sentito parlare dell'articolo 18? (Per i pochi che non lo sanno, sarebbe l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, non della Costituzione, come ho letto da qualche parte).
E, comunque, mi chiedevo: tutti ne parlano, tutti ne sanno dire quale debba essere la sua destinazione, tutti dicono "sì" o "no" alla sua esistenza.
Ma quanti lo conoscono? Quanti lo hanno letto?
Secondo me... pochi.
Pochissimi.
Quasi nessuno.
Eccolo qua l'articolo 18, almeno leggetelo prima di "farvi" (le virgolette sono d'obbligo) un'opinione. Magari che sia un po', un pochino "vostra" (e anche qui le virgolette sono d'obbligo).

Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.



martedì 27 marzo 2012

LUOGHI (POCO) COMUNI

"La bellezza delle cose"
"Un sorriso li seppellirà"
"La poesia salverà il mondo"
Ecc. Ecc. E ancora e ancora e ancora...
Luoghi comuni, poco comuni o forse pure troppo.
Piccole false consolazioni per alleviare il vuoto, il senso di impotenza che avvolge chiunque si metti a pensare anche per un solo quarto d'ora (decisamente diverso da quello di celebrità teorizzato da Andy Warhol).
Tranquilli... niente bellezza, niente sorrisi, niente poesia. Niente e nessuno salverà il mondo dall'arroganza, dal cinismo, dalla povertà di pensiero.
Vince sempre chi è più spietato, chi è più freddo, chi non ha la più pallida idea di cosa siano bellezza, sorriso e poesia.
Sono tutte stronzate, queste... pillole di falsa saggezza che ci illudono di sperare in qualcosa di diverso.
Ma che non cambierà.
Perché non cambieremo.
Perché in realtà non c'importa niente né di sorrisi, né di bellezza né di poesia né di quant'altro abbia il sapore di questi piccoli e insignificanti luoghi comuni.
Perché in realtà ognuno persegue il proprio ideale fatto di piccole soddisfazioni atte a togliere soddisfazioni più grandi agli altri.
Perché la vita è tutto un darselo a intendere. Tutto un metterlo nel culo agli altri.
Perché è facile trincerarsi dietro a falsi voli d'idea e di parola, perché non si vuole ammettere di essere dei numeri e niente più.
Perché è facile essere falsi con se stessi e con gli altri.
Perché fa comodo rifugiarsi dietro a parole che nemmeno si conoscono per far finta di farsi belli.
Ma la bellezza non esiste
Non esiste la poesia.
Non esiste il sorriso.
Niente salverà il mondo, il mondo è già salvo. A modo suo, ma salvo. Salvo da tutte le cazzate e le finte speranze di chi spera soltanto di salvare se stesso e la sua vita.
Il mondo è cinico.
E chi fa finta di non esserlo... lo è ancora di più.

giovedì 22 marzo 2012

IL FILO ROSSO DELL'ODIO

Oslo, 22 luglio 2011
Firenze, 14 dicembre 2011
Tolosa, 20 marzo 2012

Tre città legate da un invisibile filo rosso come il sangue versato da vittime innocenti dell'ignoranza, della peggior cattiveria dell'essere umano. Della brutalità più indegna e vergognosa, quella dell'uomo comune.

A Oslo due attentati uccisero 77 persone. Anders Behring Breivik l'assassino. Militante di destra, fiero e strenuo difensore della razza superiore. Superiore... si sentono così questi qua. Ha messo una bomba nei pressi del quartier generale del governo di Oslo e poi ha brutalmente assassinato decine e decine di ragazzi, al campo giovani laburista sull'isola di Utoya.

A Firenze nel dicembre scorso, il militante di destra Gianluca Casseri ha ucciso due senegalesi in pieno giorno e pieno centro. Anche lui appartenente alla razza superiore, giustiziere contro i cattivi e sporchi inferiori che infestano le città che dovrebbero essere ad appannaggio dei fieri rappresentanti di un'idea che sa di morte.

A Tolosa, due giorni fa, Mohamed Merah, franco algerino, dichiaratosi legato ad Al Qaeda, anche lui fiero rappresentante di una razza superiore (curioso: gli imbecilli pensano sempre di essere superiori, da qualunque parte della barricata siano) ha seminato il panico uccidendo prima dei militari poi dei bambini in una scuola ebraica.

Oslo, Firenze, Tolosa. Tre città legate dall'odio. Da episodi apparentemente isolati, in cui tre uomini, sentitisi investiti della qualifica di giustizieri, hanno sfogato il loro odio e la loro criminale ignoranza contro persone innocenti.
E' la cultura dell'odio. E' un braciere in continuo fermento che investe questa società legata e votata al denaro, all'arroganza, all'ignoranza, al disprezzo per il diverso. E allora saltano fuori questi cavalieri della morte, così schifosi da non fare nemmeno venire la voglia di nominarli. Figli di un mondo che insegna a odiare chi ha meno di noi, a scaricare la propria incapacità e la propria stupidità sugli altri. A far sì che l'ignoranza sia premiata e la cultura derisa.
Tre episodi isolati che tanto isolati non sono. C'è un filo rosso sangue che li unisce e che ne unirà altri. Fino a che non impareremo che è con la conoscenza che ci possiamo tirare fuori da questo pantano.
Fino a che non capiremo che le crisi, l'economia, i soldi, la finanza, le guerre... sono tutte metastasi del potere e di coloro che lo detengono. E che insinuano nelle menti inferiori l'idea di essere superiore.
Sono figli di una subcultura destroide, nazionalista, individualista, che trova fra i giovani terreno fertile. E anche fra i meno giovani. L'ignoranza non ha età. La protervia neppure. Qualcuno sogghigna, ne sono sicuro... è bene che qualcun altro cominci a rimboccarsi le maniche. Nel piccolo... nel suo piccolo. Parlando. Leggendo. Aprendo la mente. Cercando di capire. Diffondendo.
Però pensando amaramente, anche un attimo dopo, che il lato oscuro, per certi cervelli privi di cervello, è sempre più attraente. E che purtroppo non sempre la natura ci azzecca, perché se così fosse, i tre signori sopracitati e tutti quelli che sono come loro... non sarebbero nemmeno dovuti nascere!


martedì 20 marzo 2012

Le incisioni barbariche

Nella vita si soffre, si sa. E la sofferenza non c'è nemmeno da andarsela a cercare, spesso e volentieri viene da sè, non bussa, non chiede il permesso.
Spesso è provocata.
Spesso lo è in maniera gratuita e spietata.
A volte lo è soltanto perché si nasce donna.
In questi anni "moderni" ci sono ancora paesi dove vengono praticate infibulazione e mutilazioni su centinaia di migliaia di bambine. Sono numeri  impressionanti, che provocano, fra l'altro la morte di molte di queste ragazzine, "colpevoli" soltanto di essere nate donne.
Una pratica barbara, che non voglio nemmeno sapere in quali radici affonda la sua perfida finta origine culturale. Una pratica che circa 2 milioni di donne subiscono ogni anno. Più di diecimila muoiono. Alle altre è data una vita in cui non potranno avere nessun godimento dall'atto sessuale, questo ad appannaggio solo dell'uomo.
Una pratica da abbattere, non importa se è una tradizione.
Una pratica che le donne per prime si devono rifiutare. Perché spesso sono le mamme a praticare queste mutilazioni sulle figlie.
Una pratica che dimostra la bestialità dell'essere umano... anzi, no, le bestie non mutilano i genitali ai loro cuccioli per "cultura". Non lo fanno.
Noi sì.
E... care femministe occidentali sui vostri tacchi a spillo e con le tette rifatte... magari mentre vi battete così tanto per le quote rosa utili a portare mignotte in politica, cercate un po' di pensare anche alle donne che soffrono. Che vengono umiliate. Che vengono private della loro più grande dote: essere donne.


lunedì 19 marzo 2012

Ai confini della follia

Sono stato tante volte a Toulouse negli anni scorsi. Per un certo periodo ci ho vissuto e lavorato. Credo anche vagamente di ricordare l'istituto Ozar Hatora, dove questa mattina un "pazzo" ha ucciso.
Ucciso bambini.
Lasciamo stare la cronaca che c'è già chi ci pensa per lavoro.
Scuola Ozar Hatora a Tolosa
Penso a quei momenti, al terrore, alla follia che prende il sopravvento, agli occhi sbarrati di questi ragazzi, a quell'ultimo pensiero che può aver attraversato la mente di chi stava per andarsene per sempre.
Siamo abituati alla violenza, diciamo la verità. Di solito è una scarica elettrica che ci attraversa la coscienza per un attimo senza lasciare tracce evidenti. E poi si riparte... e via, verso nuove avventure: lamentarci della nostra vita.
Quando la violenza si riversa su dei bambini la scarica elettrica è più forte, però. Più intensa. Più sdegnante. Stamani alcune giovani vite (e non solo giovani, da quello che leggo) sono state stroncate da un "pazzo".
"Pazzo".
Uso le virgolette, non so che altro usare. Pazzo sembra essere il passepartout, il tana-libera-tutti con il quale si dà una sorta di giustificazione a quanto accaduto.
Pazzo.
Pazzo antisemita, si comincia a leggere.
Già, perché era una scuola ebraica, quindi il calderone si arricchisce di tutta quella schifosa faccenda che va avanti ormai da decenni senza che nessuno ci voglia mettere realmente bocca.
Perché c'è qualcosa che conta di più delle vite umane.
E che lo dico a fare? Lo sappiamo bene cos'è.
E allora non conta più se i morti sono ebrei, sono palestinesi, sono bambini, sono adulti, sono donne, sono uomini...insomma, alla fine chi sono?
Sono vite stroncate. Stroncate da una follia che trova terreno fertile in quell'altra follia, quella sì grossa, enorme, del potere.
Al quale tutto si piega, anche le vite di ragazzi che stamani avevano soltanto voglia di iniziare un'altra settimana, di ridere, di divertirsi, di preoccuparsi per un brutto voto. Di far scorrere quella vita che invece oggi è stata loro negata.
E ora partiranno i grandi pensatori, i grandi filosofi, i grandi politici, ognuno con le proprie verità in tasca.
I filo palestinesi diranno che tutto sommato là in quella terra di bambini ne muoiono tanti e che questa è una conseguenza della violenza israeliana.
I filo israeliani diranno l'esatto contrario.
I maestri del pensiero, di qualunque esso si tratti, daranno sfoggio di sofismo e di grande capacità dialettica senza riuscire a dire un cazzo.
E tutto per non voler ammettere che la violenza, la follia, nasce dall'alto. Dal potere. Dal denaro. Dagli interessi sudici di poche persone.
Senza voler ammettere che siamo tutti in una scatola, come dei corn flakes... in attesa di finire in una tazza di caffelatte.



domenica 18 marzo 2012

Di vita, di naja e altre sciocchezze

A volte la mente se ne va nel passato. Magari sei lì che passeggi o che cucini o che guardi distrattamente qualcosa alla tv, o magari stai leggendo un libro e, chissà per quali misteriosi motivi, le onde cerebrali cominciano un percorso a ritroso nel tempo e allora ti si affacciano alla memoria frasi e immagini che credevi sopite o dimenticate.
Oggi pensavo a quel periodo tragicomico che un tempo veniva chiamato "naja". Il servizio militare. Là dove ogni logica perde di significato, dove ogni cosa semplice finisce per diventare complicata, dove conta chi urla, dove comanda chi è più stupido e ignorante, dove ogni traccia di umanità assume invece forme ferine, bestiali.
Un po' come la vita.
Alla fine l'essere umano tende a ripetersi e a creare surrogati di se stesso. Perfino la religione è stata inventata per questo scopo.
E così pure la naja.
Alla fine la naja è vita. Succedono le stesse cose.
La logica non esiste, il facile diventa complicato, gli stupidi e ignoranti ma arroganti sono al potere e l'umanità è solo una mera parola.
E dove ci sono i "nonni". Il nonnismo, quel fenomeno da caserma in cui i vecchi, coloro vicini al congedo, si permettevano qualsiasi nefandezza verso le reclute (e tutti i nomignoli con cui venivano chiamate). Il nonnismo, in cui chi era sottoposto ad angherie sopportava pazientemente, aspettando il suo turno, in cui sarebbe diventato nonno e si sarebbe rifatto con chi arrivava dopo.
Ma badiamo bene... la vendetta non avveniva verso coloro che ti avevano sopraffatto, ma avveniva verso chi non c'entrava niente.
Un po' come nella vita.
Si tende a fare del male ai nuovi arrivati, a sfogare su di loro il male subìto.
Succede fra genitori e figli, per esempio. Si tende a sfogare magari sul figlio le frustrazioni subìte dal padre (per non dire di peggio).
Succede in amore. Spesso paga chi arriva dopo, non chi ci ha fatto del male prima.
Succede nei rapporti di lavoro. Sono stato fregato? Ok, fregherò qualcun altro a mia volta. E ne fa le spese un'altra persona, non chi ci ha fregato.
Succede nell'amicizia e in qualsiasi altro tipo di rapporto.
Perché alla fine, viviamo in una sorta di naja totale, che inizia al primo vagito e finisce con quell'ultimo pensiero che, chissà mai, poi, dove, a chi o a cosa sarà diretto.
Nel mezzo c'è tutto un servizio militare, indossando una divisa in qualsiasi ambiente ci si trovi, in qualsiasi fase della propria vita.
Credete di essere liberi, ma c'è sempre un sergente che vi comanda e vi dice che fare. Non necessariamente un essere umano, peraltro.
E credete di vivere, ma siete confinati in una caserma. Siamo confinati in una caserma. Lì, pronti a diventare nonni per sfogarsi su qualcun altro.
D'altronde un tempo c'era chi lo diceva: mors tua vita mea.
Vale sempre così.
Il nonnismo... aspettando di diventare nonni.
Per avere la forza, il potere, l'arroganza.
Ma i nonni, poi... muoiono.

giovedì 15 marzo 2012

Assuefazioni

Parto con il vocabolario e la definizione di Assuefazione: stato di acquisita insensibilità da parte dell'organismo umano verso una determinata sostanza (solitamente droghe, come per esempio i farmaci) in seguito a una prolungata assimilazione.
“Acquisita insensibilità da parte dell'organismo”. A quante cose stiamo ormai facendo assuefazione? A parte alla vita, cosa che siamo costretti a imparare da subito, per non impazzire o peggio.
E durante la vita, ci si trova ad avere a che fare con droghe ben più pesanti e letali di quelle a cui accenna la definizione del vocabolario.
La politica, l'economia, la televisione, i falsi rapporti umani, i sorrisi di circostanza, la religione, l'inquinamento, i telefonini, i pazzi che vanno a 200 all'ora sull'autostrada. La pubblicità.
A tutto facciamo assuefazione. Acquisita insensibilità da parte dell'organismo.
Insensibili. Così diventiamo. Così diventa il nostro corpo. Così diventa la nostra mente. Così diventa il nostro cuore. Così diventa la nostra anima.
Insensibile.
Impermeabile.
Non c'importa più di niente, diventiamo dei robot, dei consumatori, degli elettori. Rincoglioniti da tutto, accettando una vita che, se ce l'avessero detto prima non avremmo accettato. Un po' come il paradosso della rana nell'acqua bollente.
Siamo diventati delle rane insensibili. Forse la vita è questa, ma... l'acqua bolle ed è tardi ormai per schizzare via dalla pentola.
Acquisita insensibilità da parte dell'organismo (…) in seguito a una prolungata assimilazione.
Assuefazione.
Potevamo anche scegliere però, eh? Non era detto che dovessimo rimanere così... a bocca aperta... a prendere tutto ciò che ci viene buttato dentro.
Assuefazione.
Insensibilità.


mercoledì 14 marzo 2012

Corsi e ricorsi

"Cricca" "Casta" "Furbetti del quartierino" e chi più ne ha più ne metta. Al momento non ne ricordo altre e  non ne voglio nemmeno ricordare. Definizioni che si succedono l'una all'altra, si intrecciano, qualche volta. Definizioni che stanno a indicare un certo tipo di gente.
Che sono sempre gli stessi. Anzi... è sempre lo stesso. Come se fossero fatti con lo stampino. Sono tutti uguali: hanno lo stesso tipo di taglio di capelli (quando ci sono) lo stesso sorriso che vorrebbe essere rassicurante (personalmente mi fa più paura di quello di Freddy Kruger), lo stesso vestito, le stesse cravatte, la stessa faccia di culo che ti prende per il culo.

Sono ricchi, fanno una vita sopra le righe, frequentano strafighe che muoiono per loro, nonostante siano anche brutti. E queste figone che vedi nelle loro pellicce, a simulare sorrisi e felicità, oltre chissà a cos'altro sotto le coperte. Ma innamorate. Innamoratissime. Coppie bellissime e sorridenti. E che poi, magari, quando il tizio in questione finisce in rovina per aver osato troppo anche per uno come lui, le vedi con quello sguardo contrito che dicono (con molta tristezza): "Ma io non mi ero accorta di niente." E se ne vanno avvolgendosi nella loro pelliccia che è costata magari il sangue e la dignità di qualcuno che non può nemmeno permettersi una pizza fuori.
E questi tizi qua, molto simpatici, che maneggiano soldi da mattina a sera, che sfoggiano tutta la loro ricchezza, che parlano e non sanno mettere in fila un discorso di senso compiuto. Dei perfetti imbecilli, incapaci persino di legarsi le scarpe. Ma spietati.
Cinici.
Spietati.
Senza vergogna di colpire per primi e alle spalle.
Perché è così che si arriva in alto. E' così che ci si guadagna il rispetto della gente, il rispetto delle banche, il rispetto delle troie e qualche copertina sui giornali.
Sono così perché sono stupidi. E il mondo... da che mondo è mondo... è degli stupidi.
Ma spietati.


martedì 13 marzo 2012

Qua e là si muore


Si muore un po' dappertutto e per svariati motivi. Si muore per lavoro, si muore per protesta, si muore per malattia, si muore per povertà, si muore per catastrofi, si muore per guerre...
In Siria, per esempio, si muore per guerra. E si muore parecchio, per questa guerra interna (chissà se ancora qualcuno la chiama "guerra civile" magnifico esempio di ossimoro che spiega più di qualsiasi vocabolario il significato di questa parola) che dura ormai da circa un anno.
E, come al solito, si fa il balletto di cifre. Chi dice ottomila, chi dice novemila... tanto, mille in più o in meno cosa sono? Sono uomini, donne... più o meno giovani, più o meno vecchi, più o meno bambini.
Sono persone.
Persone che lavorano, che pregano, che amano, che ridono e piangono, che mangiano, che soffrono.
E che muoiono.
Così... muoiono perché non si sa. Perché non si sa mai nè quando né perché si muore.
Loro muoiono perché un dittatore non vuole lasciare la sua poltrona. Muoiono perché qualcun altro ambisce a quella poltrona.
Muoiono per il potere.
Magari pensando di morire per la libertà.
Parolaccia, la libertà... un altro ossimoro, ma stavolta senza bisogno del termine contrapposto.
Libertà. Ossimoro in se stessa.
Intanto in Siria si muore.
E l'Onu pensa a "proposte concrete".
Se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere.



venerdì 9 marzo 2012

Questione di numeri

La vita, ormai, è diventata solo una mera questione di numeri. Tutto è un numero.
PIL che sale, Spread che scende, le borse che aprono e chiudono... sono tutti numeri.
Veri, presunti, virtuali, inventati, chissà... chi lo capisce il mistero dei numeri?
E i numeri ci regolano la vita.
Quanto costa quella giacca? Un numero.
E un etto di prosciutto. Numeri.
Fanno il censimento per contarci. Numeri.
Misuriamo l'intelligenza con il Q.I. Un numero.
Misuriamo la virilità con un numero.
E la femminilità.
Sta tutto nei numeri.
Il denaro è numero. I denari sono numeri.
Con i denari le donne acquistano femminilità, gli uomini virilità.
Con i denari compriamo tanto prosciutto e tante giacche.
Con i denari facciamo sorridere PIL, spread e borsa.
Con i denari possiamo anche farci compiacere il Q.I.
I denari sono il lato oscuro dei numeri e per questo quello più affascinante... depravato.

E, alla fine, anche voi siete numeri. Piccoli numeri che messi insieme ne formano uno molto grande. Ma frammentato. Quindi inutile, un po' come stare dopo lo zero. Un numero anche quello, una specie di incognita fra gli altri. Verde fra il trionfo del rosso e del nero.


giovedì 8 marzo 2012

Pagliacci

Hanno tutti ragione.
Abbiamo tutti ragione.
Avete tutti ragione.
Su... chi ha peccato scagli la prima pietra. Solo così si possono evitare le lapidazioni. Perché nessuno ha peccato. E' sempre colpa degli altri. Di "loro".
Le cose vanno male? E' colpa loro.
Un paese va a rotoli? E' colpa loro.
I prezzi aumentano? Colpa loro, ovvio.
Loro.
Loro chi?
Chi sono questi "loro"?
Quelle facce inamidate, incravattate e plastificate che vediamo in tv?
Quelle parole inutili, figlie di un sofismo banale e ripetuto, che sentiamo provenire giornalmente da qualsiasi mezzo di informazione?
Oppure questi "loro" sono quei personaggi eminenti che se ne stanno al riparo dietro il paravento e da lì muovono le sorti dell'umanità?
Loro.
Sempre loro.
E... "noi"?
Noi no?
Noi non c'entriamo niente?
Noi pensiamo di non essere coinvolti?
E per questo ci sentiamo l'aura dell'assoluzione sulle nostre teste?
Noi il nostro dovere l'abbiamo fatto, certo... votando, o non votando... dopotutto la democrazia è questa, no?
Io ho scelto, poi... se "loro" sono dei malfattori... mica è colpa mia.
Un po' come prendere la macchina, andare in strada e poi lamentarsi delle code perché c'è troppa gente in strada. E dire: "che ci fa tutta questa gente in giro? Perché non se ne stanno a casa?"
Senza pensare che una parte di questa gente siamo anche noi.
Ognuno.
Nessuno è immune, nessuno è innocente.
"Loro" siamo noi.
Siete voi.
Voi che pensate solo al vostro orticello, ma non pensate che l'orticello può crescere solo se anche gli altri orticelli sapranno essere ricchi e fertili.
"Loro".
Già... loro sbagliano tutto, noi facciamo tutto bene.
C'è un passaggio che mi sfugge, evidentemente... e non sarà che "loro" sono così (qualunque cosa voglia dire questo "così") perché anche noi lo siamo?
Un po' come ridere dei pagliacci, senza pensare che i pagliacci fanno ridere perché imitano chi non se la è messa quella maschera.
Allora vuol dire che stiamo ridendo di fronte allo specchio, senza nemmeno considerare o pensare che quello è uno specchio. E lo specchio, da che mondo è mondo, riflette l'immagine di chi ha davanti.



lunedì 5 marzo 2012

Pier Paolo Clandestino

Il 5 marzo del 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini. Basta il nome, non c'è bisogno di aggiungere altro su questo magnifico Clandestino che ha influenzato e influenza ancora così tanto il pensiero di chiunque abbia anche soltanto la minima voglia di voler pensare.
Pier Paolo Pasolini: una vita troppo corta, stroncata improvvisamente e brutalmente su una spiaggia del litorale romano. Stroncata per motivi che non sapremo mai ma che sappiamo benissimo!
E tutti noi dovremmo fare come lui e dire: io so!
La parola a te Pier Paolo... a te che... sai!


CHE COS'E' QUESTO GOLPE? IO SO!
(Dal Corriere della Sera – Pier Paolo Pasolini, 14\11\1974)


Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

domenica 4 marzo 2012

Cavilli

Ecco, ci siamo. Si è aperto a Grosseto il grosso baraccone del processo per il naufragio della Costa Concordia.
Pronti, partenza... via!
Via alle perizie, Via agli avvocati, Via alle arringhe, Via allo scambio di accuse, Via alla sottrazione di responsabilità, Via allo show.
Schettino contro Costa, Costa contro Schettino, passeggeri e superstiti contro tutti, il dio denaro pronto a tendere le sue poderose braccia su tutto questo baraccone.
L'imperizia, la moldava, le urla dalla capitaneria, "vada a bordo, cazzo!", tutto ciò che è stato quella notte surreale, si trasformerà in una foresta di carte e scartoffie, in un coacervo di dichiarazioni, in una gara a scrollare le spalle e dire: "colpa sua, non mia".
Il coraggio non è un obbligo, certo, ma la vigliaccheria dovrebbe essere sempre punita. Da qualsiasi parte venga. E vigliaccheria è anche cercare di addossare tutte le colpe da una parte.
E la verità?
Quella non la sapremo mai, come sempre.
Quella resterà nascosta fra le righe di tutte le migliaia e migliaia di pagine che verranno scritte.
La verità è sepolta in fondo al mare, insieme alle anime di coloro che per quella crociera hanno pagato il biglietto più caro: la vita.
Ma il baraccone deve stare in piedi. Avanti signori, mostrate i vostri candidi volti, le vostre mani immacolate.
Alla fine salterà fuori che non è colpa di nessuno. O forse sì.... forse sarà colpa di uno scoglio malefico e assassino. Peccato che lui non può difendersi o assumere un avvocato bello e abbronzato.
Sarebbe perfetto.

venerdì 2 marzo 2012

Cosa succede in città

Chi governa deve avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini

Costituto Senese
Queste parole fanno parte del Costituto Senese, l'insieme di norme e leggi della città toscana, che nel 1309 fu tradotto dal latino in volgare e appeso sulle porte delle chiese e degli edifici pubblici affinché fosse comprensibile (e quindi di esempio) per tutti.

Nel 1309 i senesi avevano a cuore la bellezza della città per il diletto e l'allegria dei forestieri, allo scopo di farla prosperare e accrescere, così che avesse portato onore e arricchimento ai suoi cittadini.
1309... a pensarci ora, 700 anni dopo, viene da rabbrividire. Forse da piangere. Pensare a quale sia l'idea che hanno oggi gli amministratori delle città che governano, rispetto a queste parole, fa pensare quale dei due periodi sia "medioevo" o "evo moderno". Perché noi, in teoria, dovremmo vivere nell'evo moderno rispetto a quei tempi. E quindi dovremmo avere ancora più amore e responsabilità verso le nostre città.
Coloro che le amministrano dovrebbero averlo.
E invece guardatele le vostre, le nostre, città
Dov'è la bellezza, se non in monumenti appartenenti a tempi andati e spesso maltenuti dagli sciagurati amministratori moderni, capaci soltanto di pensare al proprio tornaconto personale, a costruirsi una carriera politica che li possa portare più in alto, o, in mancanza di meglio, di incassare tangenti da chiunque abbia a cuore la devastazione delle città e del territorio? Dov'è questa bellezza? Dove sono i governanti? Cosa governano se non il loro ego smisurato, capace soltanto di cercare il consenso attraverso una retorica sofista e priva di qualsiasi contenuto?
Dov'è la bellezza in città piene di problemi e di debiti, soffocate dalla sporcizia, dagli abusi edilizi, dal malgoverno, dalle opere inutili, da tonnellate di cemento sparse qua e là per ingrassare i voleri delle mafie?
Dove sono i governanti? Quali governanti ci sono in città dove bastano 2 cm di neve per andare in tilt? Quale diletto e allegrezza pensano di dare ai forestieri, se non quello di qualcosa che viene da un passato che non appartiene certo agli attuali amministratori, capaci invece soltanto di tenere gli occhi chiusi di fronte allo schifo che li circonda?
Quale diletto e allegrezza di fronte ai prezzi troppo alti di musei, bar, ristoranti, teatri ed eventi in genere? Anche questo dovrebbe controllare un buon governante.
Ma è tutto inutile... non sono tempi di amore per le proprie città.
C'è ben altro in gioco. Questi ultimi anni che lo hanno mostrato fin troppo chiaramente.
E la macchina del tempo... non è stata ancora inventata.



giovedì 1 marzo 2012

Ciao Lucio

Forse non occorrerebbe aggiungere altro. La morte esige il silenzio, ma, a pensarci bene, anche il ricordo.
Di Lucio Dalla ne stanno già parlando tutti i media. Continueranno a farlo. Diranno tutto quello che c'è da dire. Esalteranno la sua grande qualità artistica, metteranno in onda decine e decine di quelle splendide canzoni che ci ha regalato.

Lucio Dalla non c'è più. Quando se ne va un personaggio famoso, un cantante come lui, un uomo che ha scritto tante pagine importanti della canzone, della cultura, la tristezza cala come un sipario sugli occhi di ognuno e si insinua nella mente, nel cuore. Insomma, ci si sente un po' più poveri dentro. E poco importa quanto si conoscesse l'artista in questione, quante volte abbiamo ascoltato le sue canzoni, quanto ci hanno tenuto compagnia. Sappiamo che c'erano e sappiamo che, in qualche modo, qualcuna di loro è stata per noi importante.



Pensandoci bene potremmo chiederci: "ma perché ho questo groppo in gola?" Dopotutto cosa cambia? Lucio Dalla è morto oggi, ma per chi non lo frequentava o non ascoltava con continuità le sue canzoni, in effetti avrebbe potuto esserlo già da tempo. O non morire mai e nemmeno accorgersi di questo.
Il dolore scaturisce da quello che si sente dentro. Allora parte la macchina dei ricordi. Una macchina del tempo che riporta all'indietro e allora ti vengono come dei flash in testa. E ripensi che c'era anche lui in tanti momenti importanti. Ripensi a quella volta che facevi l'amore in macchina e pensavi fosse qualcosa di eterno. E in quella cassetta che girava c'era anche la musica di "Anna e Marco" e allora anche lui fa parte di quell'amore eterno che scambiavi con lei. Oppure a quel viaggio con due soldi in tasca, una macchina scassata, bottiglie di birra in giro sui tappetini, alloggi di fortuna e tutto il resto. E anche in quella cassetta, magari c'era "Futura". E tu sognavi il futuro e lo facevi anche insieme a lui.
Ecco... questo è il legame che c'è fra te e Lucio Dalla. Ed è un legame eterno, indissolubile e per questo fragile. Come la vita umana che si spezza in un attimo lasciando spazio solo ai ricordi. Ma solo a chi resta.
E poi ti metti a immaginare. E pensi che, il prossimo capodanno, in quei giorni, in quel giorno, ti ritroverai, come tutti gli anni, a canticchiare "L'anno che verrà" ma stavolta non sarà la stessa cosa. E quando stonerai orribilmente il "caro amico ti scrivo..." allungando un po' quella i di scrivo, penserai a un caro amico in più che non c'è più.
E un anno nuovo verrà.
Ciao Lucio...